All rights reserved

Letto, riletto, recensito!

faziomassimomonade@yahoo.it
letto-riletto-recensito-manchette
image-832

facebook
twitter
gplus
youtube
instagram

Seguici nei nostri social

L’Italia non è desta

22/07/2021 01:01

Admin

Recensioni, home,

L’Italia non è desta

Marco Rossi Sintesi di Storia d'Italia politicamente scorretta I libri del Borghese Le recensioni in LIBRIrtà A cura di Marco Iacona     “Sintesi di s

testata-1626781318.png

Marco Rossi

 

Sintesi di Storia d'Italia politicamente scorretta

 

Nuove idee

 

Le recensioni in LIBRIrtà


 

A cura di Marco Iacona

 

    “Sintesi di storia d’Italia politicamente scorretta”. Titolo che più significativo non potrebbe essere. Si tratta dell’ultimo saggio, in ordine di tempo, di Marco Rossi, scrittore toscano, già collaboratore di Renzo De Felice e innamorato – cum grano salis – della cultura esoterica, capace più di ogni altra di arricchire di “nuove” epistemologie le riserve di sapere, in verità già colme di ogni dettame e conoscenza. Il volume è edito dalla casa editrice “Pagine” per la collana “I libri del Borghese”.

 

     Cominciamo dalla cultura esoterica, recentemente etichettata come “rifiutata”. Inutile tentare un qualche paragone con la cultura marxista che da almeno un secolo, e periodicamente rinnovatasi, occupa e preoccupa i luoghi che contano. Nonostante la presenza di autentici “numeri uno”, René Guénon, Crowley, lo stesso Eliade, le epistemologie relative alle grandi descrizioni del sacro, delle ritualità e dei simbolismi non hanno mai veramente attecchito, qui, in casa nostra.

 

        Culture “altre”, idealiste e positiviste, uno spiritualismo che tiene in poco conto i fenomeni relativi al magismo, un’architettura del pensiero che li connette, sic et simpliciter, all’ignoranza, una religione (il “non avrai altro Dio all’infuori di me”) che ruba spazio a qualsiasi iniziativa che odori appena di dionisismo, e con essi diverse altre eziologie non hanno permesso alla cultura “rifiutata” di trasmettere il proprio credo con costanza ed efficacia. Ma un fiume carsico c’è, come un percorso sotterraneo, già segnalato dai grandi Giorgio Galli, Franco Volpi, Giano Accame, che accompagna gli ambienti massonici, e che tenta di spingersi sempre più in là. Però, un vero corpus storiografico probabilmente allo stato dei fatti non esiste. Né un sistema filosofico che abbia influenzato, ancora, gli ambienti che contano. Già Evola, morto oramai da quasi mezzo secolo, ne lamentava l’assenza.

 

       Eppur si muove? Se non altro, pur giungendo da luoghi diversi “dell’anima” e del “corpo”, pur avendo pesi specifici diversi, esoterismo e marxismo tentano di farsi spazio all’interno delle questioni che contano in tema di cultura liberale e neo-liberismo.

 

      Le questioni si riconnettono a quel criticismo per cui un’idea (o ideologia) oramai trionfante sembra aver stabilito un proprio percorso “di vita” o di civiltà, trasformando o ritrasformando la civiltà europea in un immenso mercato ove le relazioni di interesse e professionali occupano lo spazio possibile. Uomo, riscoperto dalla cultura rinascimentale, natura, divinità e quanto connesso con le morali religiose ed oramai laicizzate, ridotti al nulla a fronte di quell’immensa area globale nella quale si svolgono di continuo contrattazioni di tipo economico. Luoghi dominati dalle intelligenze artificiali e dai padroni dell’informazione che svuotano l’individuo della sua capacità cognitiva. Scuola e università preparano il giovane a diventare un soldato ben addestrato.

 

        Esoterismo e cancro marxista (il quale appunto potrebbe solo velocizzare la fine del “ciclo”, se al ciclo si crede), hanno certo buon gioco nello sviluppo delle critiche al mondo (post)moderno.

photo-2021-07-19-18-29-03-1626781424.jpg

Ma non basta. Il potere trasforma le critiche in sottili carezze, seduce e ottiene continui successi – Marco Rossi parla ripetutamente dell’1% della popolazione mondiale, protagonista oramai di qualunque fenomeno politico, sociale e ça va sans dire economico –, arruolando truppe ove può e quando può. Il femminismo idiota dell’ultimo periodo è certamente, da questo punto di vista, il fenomeno più “interessante”. Inizialmente spinto in avanti dalla cultura marxista, le si rivolge contro, facendo sì che uno stato di fatto si perpetui, grazie all’esercito di riserva formato dalle cosiddette “donne in carriera”, rilanciando così, ancora e ancora, la questione oramai secolare degli autentici fini del socialismo: rivoluzione (e che rivoluzione?) o riforma in favore di gruppi cosiddetti svantaggiati, lesti a trasformarsi in contenitori di cultura borghese, per reddito e stile di vita?

 

     Per tornare a Marco Rossi, le fonti utilizzate, in trasparenza, seppur dichiarate fin dalle prime pagine, sono quelle relative ai maestri dell’esoterismo, all’indirizzo critico francofortese, e a certa storiografia di gran pregio che, come direbbe Nicola Abbagnano, non ha piegato ai propri scopi la cultura, finendo per minarne il valore, ma ha tentato, mostrando una serenità d’approccio del tutto assente nelle scuole marxiste, di leggere il passato – costruendo dunque una storia e una storia delle idee – liberandosi dai preconcetti. Ha ragione Stefano Zecchi: oggi, la sinistra è solo brama di potere. D’altra parte, avendo la destra e da decenni dimostrato di non essere per nulla diversa, anzi, cosa dovrebbe fare? Una destra debole, impreparata, ondivaga. È lo stesso tema relativo al femminismo: celebrità, fama, potere e quant’altro non si possono negare a nessuno. Basta trovare il modo giusto per emergere.

         Il libro di Rossi si compone di cinque capitoli. Alcuni brevi, quelli che vanno dall’unità d’Italia alla Marcia su Roma e da questa alla caduta del fascismo. La narrazione si muove tra una quasi-storia istituzionale e un resoconto (molto rigido) di genere geopolitico, dando alle pagine un respiro appropriato: unico baluardo contro le politiche neoliberiste è lo Stato nazione, vecchio perché già da decenni è appunto in crisi – ammesso che per certa cultura esso avesse guadagnato, come dire, un comune diritto di cittadinanza –, eppure allo stato delle cose non propriamente “invecchiato”. La dimostrazione, apertis verbis, viene data nei lunghi capitoli dedicati al dopoguerra italiano e alle trame, in parte oscure, che ne hanno caratterizzato lo svolgimento. In questo caso, il titolo ideale sarebbe stato: globalisti cioè servi del “turbo-capitalismo”, contro antiglobalisti cioè “populisti”.

 

         Fino a un certo punto, fino a quando – e Rossi non è l’unico a pensarla così – le istituzioni fasciste, il regime economico da “terza via”, hanno continuato a funzionare, l’Italia è stato un paese che ha fatto della libertà e della sovranità il proprio orgoglio; al contempo la presenza di un’entità politica come l’Urss obbligava i padroni del mondo (cioè, per buona parte gli americani) alla pratica della sana concorrenza, a tutto vantaggio del “popolo”. Quel nemico forte e seducente non doveva, non poteva averla vinta: il “popolo” non avrebbe mai visto sorgere il sole “ad Est”. Mettiamola così: tra i due litiganti il terzo ha goduto, di un welfare – lo scrivono anche gli storici più comuni, sul mercato – che ha fatto grande Italia ed Europa per interno (o quasi). Ha contribuito alla diffusione di una cultura libera quasi al massimo grado, ha trasformato l’onta del dopoguerra in ricostruzione materiale e morale. Ma la festa non si è spinta oltre la mezzanotte.

 

            Il dominio delle potenze vincitrici (quelle che nel ’45 si spartirono il mondo in zone d’influenza), prevedeva una dose limitata di autonomia, politica ed economica. Il controllo americano sull’Europa, scrive Rossi, fa sì che una vera unità politica non ci possa essere, in nome anche di uno dei principi fondamentali della geopolitica: chi controlla l’Europa controlla il mondo per intero.

 

             Il nostro paese primeggia nelle questioni che riguardano il Mediterraneo, quando però almeno in casa propria cerca di ri-creare un blocco “nazionale” di ispirazione interclassista – più o meno come era avvenuto durante il Regime –, le potenze internazionali e internazionaliste scelgono di intervenire. L’Italia può essere fonte d’ispirazione per nuove svolte politiche (come fu per gli altri “fascismi” di cui scrisse Marco Fraquelli), possiede eccezionali tradizioni e risorse intellettuali; proprio per questo – conclude un convincente Rossi – deve abbassare la testa. È utile se dantescamente serva, non indipendente. È utile se la sua politica mediterranea non cozza contro interessi maggiori: è utile fino a quando il “padrone” americano non viene offeso o deluso.

 

             Così, qualcosa di nuovo accade. O forse, non esattamente di nuovo. Complice, suo malgrado, un Craxi decisionista, pian piano l’Italia torna ad essere quella “espressione geografica” che fu e che sarà. A far quadrare il cerchio ci pensa la finanza internazionale. La Banca d’Italia è stata resa indipendente dal Tesoro e il debito pubblico è schizzato alle stelle (i buoni del tesoro devono essere appetibili e si fa gioco sugli interessi); la ricchezza si sposta dal pubblico al privato, cioè in direzione di una finanza cosmopolita (ma di madrelingua inglese) che ha interesse a diventare creditrice dello Stato. In un silenzio quasi assordante, la nostra divisa diventa affare non-italiano. La moneta (che consente di “respirare”) è elemento fondamentale nell’equilibrio sociale: Pound letto, riletto e, purtroppo, aggiornato.

 

            Rossi si impegna ad indicare gli episodi – uno dietro l’altro – che trasformeranno, nel volgere di qualche lustro l’assetto politico-istituzionale del nostro paese: da Stato sovrano a realtà globalizzata. Sono ancora politica ed economia (con le privatizzazioni quasi selvagge e la svalutazione della lira) a tenersi per mano. Ci si mette anche la magistratura che fa a pezzi la vecchia classe politica rendendosi protagonista di un vero e proprio “golpe”, peraltro periodicamente rinnovato. Gli è che il cancro marxista sta (forse) mutando definitivamente pelle. Il crollo dell’Urss provoca una parziale ristrutturazione dei suoi obiettivi, che comunque continuano a prevedere la mortificazione delle particolarità, dunque delle Nazioni. L’Europa di Maastricht farà il resto.

 

             A cominciare dal triennio 1992-94, nel nostro paese accade ancora qualcosa di straordinario, di epocale. L’autore sintetizza: l’Italia perde «tutti quei poteri che ancora le permettevano una determinata, ma reale, indipendenza: la sovranità monetaria, una grande industria statale, la sovranità e il controllo sulle proprie banche, la capacità di svolgere una indipendente politica economica con dazi e investimenti pubblici, la capacità di finanziare il proprio debito interno con una propria moneta e dunque la capacità di sostenere un adeguato stato sociale» (pp. 157-8). Globalizzatori e banchieri, cioè l’1% della popolazione, sembrano aver vinto.

 

             La confidenza con il dietro le quinte della storia o della storia del pensiero sostiene Rossi nella sua cavalcata antihegeliana. Il futuro, il dopo non è e non sarà (almeno fino a un certo punto) il compiersi di un progetto che trascende la volontà degli uomini, progetto nel quale la ragione prevarrà dando forma gloriosa a una “fine”. O meglio se ciò avverrà, il resoconto subirà un processo di “genere” nicciano, farà i conti cioè con quel punto zero di ogni valore e con la dichiarata morte di un’epoca e dei relativi dei.

 

             Tocca anche a Silvio Berlusconi, l’uomo che volle fare il “bunga-bunga”. Il cavaliere non è quel superuomo pronto a inaugurare una nuova era; se non altro, in un primo momento, il leader di “Forza Italia” cerca di frenare l’avanzata invero inarrestabile del potere finanziario – “il deserto cresce” – e dei suoi servi in livrea. Il cancro comunista, al di là di quei pochi onesti “galantuomini” che hanno lasciato tracce nel recente passato, fa quel che ha sempre fatto: cura interessi specifici (per nulla geografici o culturali), nella speranza che, essi, si universalizzino e naturalmente distrugge ove può e come può, in nome della propria idea di progresso.

 

             In un contesto internazionale in continua evoluzione – con Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia “corrosi” al proprio interno da certa vitalità popolare o se vogliamo populista, con Russia e Cina (soprattutto questa) pronte a divenire protagoniste alla pari e una Turchia battitrice fin troppo “libera”, ma con la variabile “virus” che da un lato accelera la fine del protagonismo popolare, dall’altro getta un’ombra di sospetto sull’affidabilità di nuovi soggetti internazionali e da un altro ancora svela l’eccezionale debolezza del nostro ordinamento e la capacità del “potere” di sfruttare a proprio vantaggio qualunque sopravvenuta difficoltà –, l’Italietta cerca finalmente di trovare in sé – scrive Rossi – gli anticorpi per limitare il dominio della finanza internazionale che di fatto l’ha resa priva di ogni forma di sovranità.

 

              Le preferenze dell’autore vanno per la Lega di Salvini, realtà sovranista che difende, così pare, ceti popolari e medi dallo strapotere delle élite europee, e, in parte, per il movimento fondato da Beppe Grillo, sul quale però pesa l’ombra della palese impreparazione oltreché della “beata” incompetenza. Cito a memoria, ma non ricordo l’autore della facezia: “il M5S è la rivincita di coloro che andavano male a scuola”.

 

             A parere di chi scrive il M5S svela l’inefficacia delle rivolte che partono dal basso e che altro non fanno se non aumentare la confusione, rubando spazi e tempi di manovra a forze politiche più efficaci in potenza. Un “fascio-comunismo”, senza Marx e orfano della Prima guerra mondiale: il nulla, il punto zero, la pattumiera dell’impegno. Ora a prescindere da una riproposizione di etichette forse del tutto superate (Lega uguale populismo di destra, 5Stelle uguale populismo di sinistra, ma come dice Rossi utili all’establishment), l’ingloriosa fine del governo giallo-verde segna la crisi quasi definitiva del movimento grillino vista l’inconsistenza, data la mancanza di un pensiero di fondo, di una linea politica energica e di un orientamento generale di interessi da difendere.

 

           Ogni pars destruens non può fare a meno di una pars construens programmata con serietà e convinzione, a prescindere da risultati ottenuti, davvero minimi, che non fanno statistica (ma c’entra qualcosa l’improvvisa pandemia?). Ciò per quanto riguarda i miseri grillini, selezionati come in ogni realtà tribale che si rispetti, più in ragione dell’avvenenza fisica che per capacità “politiche”.

 

            Per la Lega, il giudizio è momentaneamente sospeso. Purtuttavia il successo al sud (fragile e corrotto), l’appoggio al governo Draghi che inaugura una posizione a dir poco singolare (Draghi nulla ha a che vedere col “popolo” italiano) e le scarsissime qualità da leader del suo “capitano”, né politico né politicante ma affarista-burocrate, superficiale e inesperto, lasciano poco spazio all’ottimismo.

 

            Si può dire, allora, che lo spazio politico per le forze nazionali è (ed è sempre stato) fortunatamente ancora grande; empiricamente però di forze politiche che sappiano interpretare le richieste del “popolo”, quel 99% di cui parla Rossi, non se ne trovano affatto. Lo spazio è conquistabile, ma da un secolo mai conquistato. La situazione, a dar retta a numeri e sostanza è imbarazzante. Grave e seria allo stesso tempo


Titolo: Sintesi di Storia d'Italia politicamente scorretta

Autore: Marco Rossi

Edizioni: Nuove idee
Collana: I libri del Borghese

Pagg.: 220

Prezzo: € 18,00

Voto/Valutazione: Libro interessante e punto di vista al massimo della chiarezza. 7 e 1/2