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Romano Vola - Collezione Autunno-Inverno. Poesie 2014-15 - Miraggi

24/07/2020 06:34

Admin

Recensioni, home, Poesia, Miraggi edizioni, Romano Vola, Paolo Pera,

Romano Vola - Collezione Autunno-Inverno. Poesie 2014-15 - Miraggi

Romano Vola - Collezione autunno inverno. Poesie 2014-15 - Miraggi - Recensisce Paolo Pera

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Romano Vola

 

 

 

Collezione Autunno-Inverno

Poesie 2014-15

 

 

 

Miraggi

 

 

 

 

L'angolo della poesia
Le recensioni in LIBRIrtà

A cura di Paolo Pera

 

                            DIARIO AMOROSO D’UN TRAGICO SENTIMENTALE

 

Il poeta Romano Vola, ex sindaco di Bergolo (Paese di Pietra, di cui fondò la Renaissance), ci stupisce con la sua terza raccolta poetica – edita per Miraggi Edizioni – Collezione Autunno-Inverno, che pare essere non tanto il suo capolavoro senile quanto il suo Capolavoro. In essa è racchiuso l’intero apparato umano e intellettuale di Vola, che spazia della poesia bruta e “bukowskiana” a veri e propri tentativi esistenzial-filosofici, tutto ciò in un complesso para-diaristico ben esplicitato dalla data (e pure dall’ora di fine composizione) che sormonta ogni singola opera.

«Collezione Autunno-Inverno» è, per Romano, un titolo ironico che allude alla sua età avanzata; come a dire: sono arrivato nella brutta stagione, ma esprimo ancora la parte migliore di me con la poesia. Proprio per l’impianto diaristico, il libro non presenta una logicità tematica diversa dal corso dei giorni; e sono proprio questi a porre una “storia”: durante la lettura ci pare d’abitare, giorno per giorno, il pensiero del poeta; ciò rende possibile percepire il nostro pensiero con una maggiore affinità. Per spiegarmi meglio: essere di fronte al linguaggio mentale d’un estraneo (che si esprime cristallinamente, cadendo pure in anatemi lanciati contro le proprie turbe) ci ricorda come pensare, come interloquire col nostro pensiero, come trattarlo qualora ci spinga nell’oscurità. In questa quotidianità il poeta ci porta nelle reminiscenze che lo addolorano, come il ricordo della moglie scomparsa (nella poesia «Che ti avrei scritto?», che è forse la più commuovente) o il cancro vittoriosamente superato, cui accenna attraverso un immaginario dialogo con Bukowski (l’autore che più lo segnò, e che pare il suo maggior confidente).

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Nel libro, Vola, enuncia soprattutto la propria perpetua voglia d’amare, riempiendone il libro di manifesti, per esempio la poesia «Piccole eternità» che (poundianamente) ci consegna questi versi: Resta così, invocava il mio cuore, / Non muoverti, che sia per sempre. Dammi il tuo respiro, amore mio: / piccole eternità sgranano / il loro infinito nella mia mano / e una volta tanto / non parlano del tempo che passa / ma di quello che si è fermato / alla felicità. La donna angelo, cui Vola si rivolge, è forse la giovinezza che sente ancora in sé quale compagna eterna. La sua mancanza, nei momenti peggiori, conduce il poeta nell’insoddisfazione, nella ricerca dell’Altrove: quel mondo possibile che chiama «Ipazia»,Luogo che non appare / ma ti comprende e ti comprime.

Vola non manca poi d’ironizzare sulla sua brama di fisicità (soprattutto amorosa) attraverso alcune poesie, ben esplicite, che paiono avere un’aura di dissacrazione del sesso stesso. Infatti, Romano vive l’amore come un novello Dante; mentre la passione (tradotta dalla sua mente) è mera crudezza bukowskiana. Ciò ci stranisce un po’, non immagineremmo mai Dante a letto con Beatrice… E in che contorsioni, poi!

La lingua di Vola è semplice e istintiva, la genuinità con cui parla d’infinito è la stessa con cui esprime l’amore viscerale. 

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Ecco, di visceralità si tratta: il nostro poeta, prendendo bassa ogni vita, proietta sé stesso in una realtà in cui manca la magia – giacché essa s’è spogliata della sua veste astratta per divenire perfetta concretezza, che Romano coglie dappertutto grazie a un occhio fanciullesco, come lui stesso confessa nella sinossi. In conclusione potremmo dire questo: la poesia di Romano Vola si fonde con l’oggetto che assume, Romano stesso si fonde nell’impegno poetico e umano. Pare quasi un aspetto kenotico: dove l’uomo si spoglia di sé stesso per diventare l’altro, il mondo da tradurre attraverso la propria sensibilità. La poesia che conclude la raccolta, «L’urlo e la preghiera», ci mostra bene tutto ciò: C’è una grande differenza / nel sentire / tra chi ama / a chi vuol bene. / La stessa che c’è / tra l’urlo e la preghiera. Se l’amore è fusione, Romano non ha “voluto bene”: Romano ha amato, in ogni visione ed espressione!

 

(In foto il poeta Vola)