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L’odore dell'interno coscia delle donne

05/11/2021 23:01

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L’odore dell'interno coscia delle donne

Carlo Molinaro - L'odore delle gambe delle donne - Miraggi - Gli evergreen - A cura di Paolo Pera

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A cura di Paolo Pera

Col romanzetto pseudo-autobiografico L’odore delle gambe delle donne (Miraggi Edizioni, 2015), Carlo Molinaro consegna all’attenzione del lettore un [chissà quanto] involontario manifestino della sua filosofia: una filosofia del fare – e del dubitare – che poggia sulla sua esistenza, su blocchi e sbloccamenti. Abbiamo all’inizio a confrontarci con un bimbo da subito attratto dall’«intenso odore» delle sue compagne; questo, un po’ trattenuto da un senso di stare e non stare nel mondo – un bimbo già con un simile cruccio? –, le contempla ma con difficoltà le approccia; similmente non riesce a sventare la morte di un piccolo mammifero, sentendosi come legato da una fisica (e invisibile) impotenza: la sua compassione per ogni “fratello terrestre” è quasi francescana – come suggerisce il poeta e critico Franco Trinchero –. Cresce un po’ goffamente, intraprendendo studi linguistico-letterari, e in questi la sua riflessione sull’indicibilità delle cose si rafforza: molti tentativi di diario – con cui apre i brevi capitoli – risultano stati di fatto cancellati dal nostro autore che qui si nomina Enea, un personaggio che però non fonda alcunché – ma che, come vedremo, fugge –. È sempre nell’ambito universitario che riesce finalmente a penetrare la prima femmina dopo alcuni tentativi fallimentari, da ciò un primo sbloccamento, ma pure la nascita di un «chiodo fisso» che quasi compensa una differente impotenza (quella di essere nato “perdente”, giacché creatura debole, breve e dolorosa). L’autore ormai giunto al ruolo di “cacciatore dolce” rimane comunque straniero nel mondo, in diversi colloqui con una donna reduce da un grave trauma – colloqui che portano a un incontro “materassico” su desiderio di lei – Enea pare smorto (imprigionato nel suo pensiero) udendone le disgrazie: ogni mancato intervento non è figlio dell’accidia, ma della fatica di credersi qui. Quest’odore, che lo spinge a penetrare, a sua volta lo penetra profondamente… Non pare una mera essenza di feromoni ma qualcosa di più inguinale che resiste a ogni soppressione da profumi fatta per istillare in esso quella passione mai sopita ma vissuta, oso dire, animalescamente: come un dirigersi inevitabile, depensato, senza domandamenti di sorta. Il romanzo si costella, oltreché della Donna e delle sue somme bellezze (con relative mode invise al Nostro, per esempio la depilazione integrale), di immagini moderatamente pornografiche (che colorano la lettura) e di assaggi filosofico-antropologici, alcuni di stampo dissacratorio. Molinaro insomma dà accenni di libertinaggio filosofico, ragionando pure di relazioni carnali tra il Dio cristiano e la ‘Vergine’ Maria, utile comunque a sfatare il mito misogino della donna o santa o puttana. Qui occorre una trascrizione integrale del passo, da me ritenuto il più alto del libro: «Poi penso che l’uomo vuole che la donna sia Maria, vuole che gli sia fedele, per sentirsi come dio, perché dio è solo lui che scopa con Maria. Dio scopa Maria con lo spirito santo, l’uomo scopa la sua Maria con il cazzo, usa il cazzo come spirito santo. Le altre sono Eva, sono femmine a disposizione dell’umanità, con loro il cazzo è solo cazzo, non spirito santo; finché qualcuno non le cattura e le trasforma in Maria, privatizzandole e “disfemminandole”. 

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Così, almeno, è stato per secoli; ora forse un poco cambia, forse, un poco, ma non è nemmeno chiaro come». Verso la conclusione di questi «accenni di una propria storia», quasi un «tentativo di critica di sé stesso», il tutto prende a scemare, il livello della scrittura si infiacchisce – quasi programmaticamente, a parere mio: questo per dimostrare quanto sia effettivamente impotente il linguaggio, quanto il sentire non possa essere trasposto con compiutezza. Fortunato (e abile) chi è in grado di evocare nell’Altro quell’ineffabile che va percepito! –. Ecco allora che il romanzo si interrompe ex abrupto con un abbandono, il personaggio alza i suoi tacchetti e lascia la storia nel suo perfetto scorrere sempre uguale a sé stesso. Egli lascia e nessuno lo cerca più: inevitabile se pensiamo quanto un tale modo di stare nel mondo infastidisca e confonda chi sa di essere piantato nella vita, quanto equivoco appaia uno “straniero”, un «incurabile estraneo». Con questo finale a ghigliottina – che noi augureremmo “non letteraria” per il collo di certi politici, e relativi cani da guardia odierni – Molinaro confessa infine la sua svogliatezza nel continuare a narrare quella storia poco, poco interessante che è la vita, il vivere.


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L'autore

Carlo Molinaro è nato a Vercelli nel 1953 e vive a Torino. La poesia è una sua vocazione costante: ha pubblicato numerosi libri di versi a partire dal 1981. Citiamo i sette più recenti: Entro incerti limiti (Joker 2002), Sospeso sogno (Joker 2003), La parola rinvenuta (Genesi 2006), Una città (Manifattura Torino Poesia 2010), Rinfusi (Genesi 2011), Le cose stesse (Matisklo 2013), Nel settimo anno (Genesi 2016). Ha scritto anche due romanzi, Io sto come mi pare (Delos Books 2008) e L’odore delle gambe delle donne (Miraggi 2015). Si dedica con una certa passione a produzioni di immagini fotografiche e video.

 

Il libro

Titolo: L'odore delle gambe delle donne

Edizioni: Miraggi

Pagg.: 112

Prezzo: € 12,00

Voto/Valutazione: 8,5/10

Un bacio lungo un secondo

04/11/2021 23:01

Admin

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Un bacio lungo un secondo

Rosita Panetta - Un bacio lungo un secondo - Pathos edizioni - L'angolo della poesia - a cura di Paolo Pera

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Rosita Panetta

 

 

Un bacio lungo un secondo

 

 

Pathos Edizioni

 

 

L'angolo della poesia


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A cura di Paolo Pera

L’amore si sa è il motore del Cosmo, non serve scomodare Dante dal suo esilio sepolcrale, basta vedere la delicatezza di un bacio – non di certo le francesistiche passate di lingua nelle altrui bocche –, gesto d’affetto profondo che accompagna l’infanzia sino alla sua senilità, un piccolo stampo sul viso amico. L’amore è delicatezza, nessun’altra forma dello stesso è sana (questo non è mai troppo scontato da dire), e nell’esordio poetico di Rosita Panetta – Un bacio lungo un secondo, appunto, uno Smack, (Pathos Edizioni, 2021. Con una prefazione di Maria Concetta Giorgi) – tutto ciò è manifestazione viva, pulsante di casta bellezza. Dolce è pure l’autrice che tra queste pagine intende dar voce ad amiche che per amore hanno patito tormenti e violenze, amici scomparsi ma ricordati nella loro fresca ed eterna giovinezza, a un mondo naturale che muore ogni anno per poi rifiorire di splendore, e infine a sé stessa entro vari piccoli autoritratti, cammei, che la descrivono come persona dall’anima esposta, fragilmente corazzata da questa: bella, insomma, come pochi al mondo oramai, autentica, e con un fiore tra i capelli com’è giusto: «Abbiamo bisogno di musica e / di balli e farfalle colorate / che si posano sul naso, / e di fiori tra i capelli». Un animo materno è quello della poetessa, compassionevole al punto da divenire l’Altro per viverne appieno il dolore, alleggerendo così il più possibile l’amica/o dal suo peso.

L’Amicizia vuole sim-patia e com-passione… Di fronte a un esempio così nobile di poesie femminile, oltreché di femminile sensibilità, bianchissima poiché angelica ai miei occhi (ancor più che rosa), ci dovremmo indignare nei confronti di quelle volgari ricostruzioni di linguaggio pensate coi piedi da parte di una certa cattiva svolta femminista odierna – ridotta infatti a fare le pulci alle giuste forme linguistiche, inventandosene di orripilanti e scorrette, anziché battersi per questioni realmente necessarie –, svolte che tendono a chiamare le autrici di versi “poete” (espressione sinesteticamente marrone ai miei occhi), diremo dunque poet(ess)e fingendoci tutti felici. Perché mi chiedo, pur non essendo questa la sede (e me ne scuso), ledere la purezza di quelle parole che chiamano istintivamente il bello assoluto che il femminile porta in sé e con sé? Talvolta, poi, per mero desiderio di deturpazione (una delle tante brutte abitudini proprie della dominante Moda degli sfreghi): di imbruttimento, con fini che sfuggono alla mia volontà d’intenderli. Ma torniamo a cose più serie… Questo bacio che accompagna tutto il libro dura sì un secondo, mai scadendo nel volgare, ma in quell’attimo sta l’Eterno: Eterno che durerà almeno un secolo, per essere modesti; anni d’amore sincero per chi d’amore vive, per chi d’amore si nutre. L’anima di un vero essere umano non può che cercarlo, rimanendo talvolta ferita dalla simulazione di chi – per propria povertà – si cela nella menzogna, soffrendo e creando sofferenza. Ma in questo libro Panetta rifugge il dolore quanto chi ne crea, il tutto risulta un canzoniere della gioia inaudita, qui la Nostra deve avere di certo compiuto una mirata e mirabile selezione di quel positivo che ognuno – amandosi o, meglio, dovendosi amare… – se savio cerca di fare: «Prima di tutto, tu, / amati. / Guardati allo specchio, / in fondo agli occhi. / Truccati l’anima / baciati il cuore». Che dire di più se non augurarvi di ricevere tutta la bellezza possibile da questa delicata lettura? Questo libro, forsanche solo per la sua dolcezza, sa davvero ‘abbracciare il cuore’.


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La bella Reggio Calabria di Francesco Squillace

03/11/2021 23:01

Admin

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La bella Reggio Calabria di Francesco Squillace

Francesco Squillace - Lo stretto indispensabile - Città del sole edizioni - A cura di Letizia Cuzzola

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A cura di Letizia Cuzzola

 

Lo Stretto indispensabile” di Francesco Squillace (Città del Sole, 2020) ha sostato sulla mia scrivania per qualche mese; da destra finiva a sinistra, dal basso fin su in cima alla pila di altri libri in attesa. Sembrava che il suo momento non volesse arrivare, che la decantazione a cui sottopongo ogni testo che varchi la soglia di casa fosse infinita. È giunta la febbre, un caldo fuori stagione e la quiete necessaria per sfogliarlo.
“Lo Stretto indispensabile” rientra nel genere dei romanzi di formazione, genere che negli ultimi anni è stato abusato quanto il giallo, come se il mistero della crescita altro non sia che un’incognita da affrontare con le stesse armi. Probabilmente è stato questo a farmelo guardare sottecchi: la paura dell’ennesima delusione. E invece no. I dubbi di vedere la mia città, Reggio Calabria, raccontata da un suo figlio come me sono svaniti poco dopo. È difficile raccontare questa città che è «la punta dello stivale, quella con cui si tirano i calci in culo. (…) quella che pesta la merda perché non guarda dove va». Ogni dominazione non ha fatto altro che comprimerla nelle sue possibilità.

Nino Zerbi è un neodiplomato, con Marco, Rocco e Sergio formano un gruppo coeso: tutti e quattro o nessuno. Si muovono in blocco con la spensieratezza dei diciotto anni, quando ancora non sai che forma hai, quanti spigoli dovrai smussare e quanto spazio occupi realmente nel mondo. Ci vuole coraggio e che cos’è il coraggio se lo chiede in continuazione Nino, che non riesce a spegnere i pensieri, che ne ha talmente tanti e grandi da perdersi la realtà che letteralmente deflagra in una notte di quell’estate cruciale.

Reggio è una maledizione: una madre oppressiva da cui è difficile sfuggire, allenta un tentacolo e ti acciuffa con l’altro. Soffoca per sua indole e per quella specie di parassiti velenosi e famelici a cui ha dato e dà nutrimento, quella merda che invece di pestare porta in giro: la ‘ndrangheta irrompe nella vita dei ragazzi, lo fa col botto, con l’esplosione di un bar punto di riferimento per le loro giornate

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Ma a diciotto anni, mentre decidi del tuo futuro, cosa puoi fare? «Un gesto fuori dal normale merita un comportamento fuori dal normale». Succede quella che dovrebbe essere consuetudine: ci si schiera dalla parte della vittima. Dovrebbe. Perché l’abitudine porta, solitamente, a cercareun’accusa, una provocazione di chi subisce. Perché la colpa, qui e per l’opinione pubblica, sarà anche in percentuale consistente di chi ha provato ad alzare la testa. Ché la sabbia dello Scirocco e delle incazzature dell’Etna sui reggini arriva e copre tutto, rallenta il respiro e i pensieri, ci penseranno altri a rimuovere la lordura. Devono sempre pensarci altri, un popolo in attesa del Messia.
Ho pianto. Ho riso. Ho chiuso il libro e l’ho riaperto un paio di volte fra una lacrima e un sorriso. Perché Reggio Calabria è bella, è una bellissima donna trasformata in un all you can eat non autorizzato ma promosso con indolenza. E anche quando ti manda via, quando ti rimprovera di averla abbandonata lo fa sapendo che le sue braccia saranno abbastanza lunghe da ritrovarci. «Tanto, a casa, si torna sempre».

 

Il libro

Titolo: Lo Stretto indispensabile

Autore: Francesco Squillace

Editore: Città del Sole

Pagg: 270

Prezzo: € 15,00

Voto: Da tenere sul comodino


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L’autore

Francesco Squillace è nato a Reggio Calabria nel 1987 e vive a Milano.
Ha studiato Cinema all’Università di Bologna e Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano.
Si occupa della regia di documentari, pubblicità e video di formazione. Tra i lavori che ha scritto e diretto figurano “Lattinoir”, cortometraggio a tematica ambientale presentato al “Giffoni Film Festival”, ed “El abuelo”, documentario girato a Cuba, patrocinato dalla “Calabria Film Commission” e presentato al “Pentedattilo Film Festival”. È stato finalista al Premio Nazionale di Letteratura Umoristica Domina con la sua raccolta di racconti “Rigatoni”. “Lo Stretto indispensabile” è il suo primo romanzo.