A cura di Gianfranco Cefalì
Mi trovo su di un’isola. Deserta all’apparenza e arida. Sento caldo e le guance si infiammano sotto il sole di un’estate monotona che reitera gli stessi gesti di un’altra qualsiasi estate, passata a vivere e sopravvivere nell’ostilità di sentirsi incatenati a una realtà stringente e per metà sognata tra nuvole impossibili da toccare.
Le gocce di sudore sono piccole perle amare che scivolano tristi negli occhi, bruciano e l’afa sembra uno strato fatto da qualche materiale plastico che trattiene le forme, lasciando impronte che cercano di tratteggiare un percorso che lascia senza fiato.
Non sono solo. Ci sono quattro persone presenti e un’assenza. Un vuoto che significa e trattiene. Due fratelli, un padre e un amico, accomunati da destini duri che si stanno sbriciolando sotto la polvere che costantemente si accumula sotto i piedi, nelle mani, negli occhi. Le assenze saranno per tutti e quattro un monolite nero sempre in costante presenza invisibile.
Ho caldo, molto caldo. L’afa mi costringe a inalare una quantità d’aria sempre maggiore. Mi fermo un attimo, alzo gli occhi dal libro e scopro che, nonostante le vampe di calore, ho un ventilatore puntato sul mio volto alla seconda velocità, risucchio quell’aria riciclata e mi accorgo di essere arrivato a pagina ottantanove, ho bisogno di riprendere fiato.
Riprendo la lettura. Ho la maglietta appiccicata alle ascelle, insieme hanno scritto macchie scure e maleodoranti. Avvicino il ventilatore e aumento l’intensità dell’elica, massima potenza. La maglietta resiste incollata al mio corpo, voglio continuare. Le storie dei protagonisti continuano, ho dimenticato di dirvi che i personaggi non sono solo i quattro presenti e l’assenza più grande. Altre figure sono state cancellate, alcune dal mare, coraggiose hanno lasciato la riva per aiutare. Poi c’è l’essere non umano più umano del romanzo, istinto e ragione, animale anima, un cane. Privo di nome nella prima parte del romanzo diventerà unico amico di Salvatore, uno dei due fratelli, l’altro, Damiano, ha molto di animalesco pur rimanendo a tutti gli effetti uomo. Tonno, così Salvatore chiama un randagio, prima cercato e ferito, poi accudito, nella speranza di trovare in esso quell’umanità che tanto manca in buona parte di quella strana famiglia disfunzionale. La ricerca di un amico che non ha mai avuto. Ritorniamo agli altri due protagonisti principali, uomini, Mario, padre e Pietro, amico. Entrambi nascondono, entrambi celano a chi è fuori dalla loro cerchia dei segreti. Mario inconfessabili, almeno al più piccolo della famiglia, Salvatore. Pietro dal destino segnato cela sotto il suo peso tutta la storia della sua famiglia e più avanti nel romanzo una colpa che non troverà in lui redenzione. Lucia è l’altra figura, assente da dieci anni ma costantemente presente per Mario e Damiano, lei partita per un sogno si ritroverà prigioniera dell’isola e dell’acqua.
Rialzo la testa dal libro, manca una manciata di pagine, sento un forte odore di bruciato, mi penetra nelle narici, sento la gola asciutta che arde, bevo due bicchieri di acqua e la gola mi ringrazia. Non è abbastanza, avvicino il ventilatore e apro la bocca, tutto inutile, mi avvicino la bottiglia e la metto a guardia del mio cavo orale. Inizialmente all’odore di bruciato ho pensato alla strane coincidenze della vita, sì, perché nel libro c’è un costante odore di bruciato, si sente la cenere, si sente il calore.
Apro la finestra e mi accorgo che un grande rogo nella zona periferica della città ha portato un spessa coltre di fumo fino a casa mia, serro tutte le finestre e mi tolgo la maglietta, ormai fradicia la infilo nel cesto dei panni sporchi.
Acqua. Componente primordiale, principio vitale inteso come mezzo di rigenerazione. Nella forma di pioggia rende fertile e feconda la terra. Qui è un elemento ambiguo, feconda il sentimento tra due persone, ma è anche un muro invalicabile per questi personaggi che sono rinchiusi in quest’isola. Personaggio principale in due momenti distinti del libro, l’acqua assume perciò duplice significato, crea e distrugge, salva e imprigiona e quando arriva lo fa con la forza distruttiva tipica della natura selvaggia. L’acqua, lava e parzialmente disvela.
Ho finito il libro, sono completamente sudato, ho letto la storia di un piccolo microcosmo sofferente e a tratti bugiardo e cattivo, sono spossato per il finale, impreco per non aver letto il libro prima.
Luca Giordano scrive bene, molto bene. Il suo stile asciutto ricorda la scrittura cinematografica, mai banale sa entrare nel cuore delle cose, delle situazioni, senza la minima esitazione, struttura il romanzo in maniera impeccabile e ci porta nel presente e nel passato non facendo mai calare il ritmo della narrazione. I personaggi sembrano incisi sulla carta con i loro spigoli acuti, lasciano frammenti di dolore e di quella che potrebbe sembrare speranza nel corso del romanzo. Questo libro ha una sottile tensione, una specie di vibrazione che si fa leggere fin dalle prime pagine per poi deflagrare nel finale.
Una storia cupa, asfissiante come il clima dell’isola, fredda come la pioggia che si incontra nel finale ma che sa regalare l’emozione della lettura, quella che lascia il respiro corto e ci dona una scrittura vera, ispirata e assolutamente sincera.
L'autore
Luca Giordano (Moncalieri, 1985) si è diplomato in sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Scrive per il cinema e la televisione. Questo è il suo primo romanzo ed era stato pubblicato nel 2013 per ISBN Edizioni.
Il libro
Titolo: Qui non crescono i fiori
Edizioni: Terrarossa
Pagg.: 216
Prezzo: € 15,90 - In e- book € 8,90