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La ricerca delle occasioni a condizioni che siano perdute

29/12/2022 00:14

Admin

Recensioni, home,

La ricerca delle occasioni a condizioni che siano perdute

A cura di Alessandro Corso

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Patrizia Caffiero

 

Il pianeta della occasioni perdute

 

Musicaos

 

Le recensioni in LIBRIrtà


A cura di Alessandro Corso

 

    Uscito per Musicaos editore, casa editrice leccese con svariate collane, tra narrativa, poesia e saggistica, “Il pianeta delle occasioni perdute” è un viaggio insolito, come suggerisce il titolo, alla ricerca di un'occasione, solo che “'unica condizione perché accada è che si tratti di un'Occasione perduta, di un sogno non realizzato, di un desiderio che provoca una grande sete”. Dieci racconti dove sono affrontati i temi fondamentali dell’esistenza, l'amore, l'amicizia, la malattia, la morte, la paura del distacco genitoriale, il desiderio di conoscenza, a tratti narrati con brio o toni, all’occorrenza, malinconici, con estro pittorico e sfumature di ammiccanti onomatopee.

    Di sfumature dense è la sua fascinazione: “Il settimo pianeta della Nuova Galassia, visto dallo spazio, era nero. Zebrato da strisce parallele, di un viola polveroso. Mentre girava, agile come un danzatore, inviava bagliori di luce dorata”. La presenza stessa del pianeta è viva, nelle attese, disattese, aspirazioni, reincarnazioni dei personaggi, come nel racconto “Le catene di Mirab”, quando il personaggio di Pater si rivolge come in sogno al di figlio Mirab: “Mirab, tu non morirai. Doveva andare così, il pianeta sa sempre cosa fa. Dovevi arrivare al punto in cui ero arrivato io, duemila anni fa, provare ciò che avevo sentito. Superare il tuo limite, per guarire”.

    La copertina, raffigurante una donna di spalle, con bagliori di luce fiammeggianti tra i capelli preannuncia il viaggio eterico dell'autrice e dei suoi personaggi, che come tale è un viaggio dell'anima, che richiede un percorso obliquo, ovvero una direzione non sempre comprensibile, ma necessaria. Riconosciamo questo nel racconto “La passione di Arami”, attraverso queste righe che richiamano immagini d’ispirazione filmica: “Come mi hanno insegnato i miei genitori, ogni cosa ha un inizio e una fine. Swen mi convocò tramite un messaggio, che mi fu recapitato dagli assistenti invisibili in forma di suoni e di profumi nel giardino, dove stavo riposando. Mi aspettava nella Sala centrale degli Arcani Proverbi. Trovai appesa nella stanza dei giochi una veste bianca, intessuta di
tramature di odor di luna. Gli aiutanti tessero i miei capelli in una delicatissima rete di aligemelle. Mi disegnai sul viso un simbolo nuovo, che le mie dita tracciarono con sicurezza
”.

    L'occasione di una vita ritrovata, battezzata attraverso un rito, un segno sul volto, anch'esso una traccia della simbolica ricerca, scelta narrativa, tra passato e presente. Patrizia Caffiero, anch'essa leccese, scrittrice “verace”, del sud, ma, se vogliamo, di sangue cosmopolita, che annovera tra i suoi svariati interessi il cinema, il teatro e la
letteratura dei grandi autori, rivela l'interesse linguistico per i neologismi, tanto che il lettore può fare presto o fatica, inizialmente, ad abituarsi a questa visione spumeggiante di nomi evocanti suoni e colori, quasi una chiave, un indizio per riuscire ad aprire o chiudere le porte del viaggio, del sogno astrale, forse anche un modus operandi per ri-narrare un vissuto esistenziale. La narrazione è scorrevole, prende ora la forma esplicativa del diario, come in “Le liquidoparole di Stellar Maris”, e ora del racconto in terza persona. 

    L'autrice riesce a rendere con carattere certe immagini, stati d’animo e sensi del percorso delle pedine, a loro modo autonome, del racconto, come in “Il desiderio di Morris”: “Era arrivato il giorno della partenza. Indossò il miglior antivestito che possedeva. Le esovaligie, ammucchiate vicino la porta, discesero con lui, rapide come fulmini, nel tunnelcorridoio fino allo spazio parcheggio. Lo stavano aspettando, puntuali, in tuta argentea, per accompagnarlo in tre minuti alla nastronave. Nel frattempo si era svegliato del tutto. Le endorfine, le misorfine e l'adrenalina circolavano nel corpo a un ritmo molto veloce: controllò la situazione al polso nel quadrante del rilevatore delle emozioni. Guardò i dieci compagni di viaggio, sorrise a tutti. Gli altri ricambiarono il sorriso”.

    Il registro di stile, in tal senso, è immaginifico ma preciso, riconoscente alla lezione di Philip K. Dick, mentre le narrazioni paesaggistiche ricordano le evocazioni lovecraftiane, un certo splendore di civiltà perdute, anche se l'autrice preferisce stupirci con effetti speciali più che con lo sfoggio del macabro, il potere sensitivo delle sue creature, tipico dei supereroi o dei personaggi di fantascienza di stampo inglese e americano fine novecento, se non è più esatto credere nella fiducia positivista di plot più recenti. Vediamo, dunque, il topos dell'alieno festante, dei genitori protettivi ma non troppo, l'idea di un riscatto psicologico dei personaggi, affidata a una nuova dimensione di spazio e di luogo, che altrimenti può essere condanna, come nel caso del pirata Beruk.

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Il termine “arcazoico” designa questa emulazione ibrida di stili, tra passato e futuro, tra miti nel senso puro del termine e sue reinterpretazioni, il cui fine di eternare, rendere immortali le vite e le storie in corso, è finemente palese. In questo senso il post-moderno qui non può avere luogo, i suoi effetti negativi, le pesanti ombre del contemporaneo sembrano quasi sparire, più facile calarsi, a tratti con briosa superficialità nell'abisso delle scelte di una vita eccezionale che in quelle frastornanti dell’odierno inconscio collettivo, la quieta disperazione di memoria inglese. E se non sempre immortali sono i personaggi, che sembrano talvolta non curarsi del tempo che scorre, ne sono le intenzioni. Fermo restando che la socialità evocata nei suoi racconti non è solo edonistica immaginazione, l'autrice potrebbe fare intendere di narrare se stessa, ma fa un salto in più nel momento in cui si dedica a una narrazione universale, o all'eccezionalità degli eventi che accendono il racconto. Come nel caso del racconto sopra citato dedicato al Duca bianco Bowie, mito Dio redivivo, l'alieno semiumano sempre pronto a scendere tra noi. Un certo misticismo contribuisce a dare un peso ai protagonisti della storia, a definire con acume i moti di senso, le aspirazioni non sempre dichiarate.      

    Caffiero​​ intende suggerirci con discrezione che tutto può cambiare, che a regolare gli incontri, a farli splendere o disattendere, occorrono intelligenza e un impegno di fondo, così avviene nella realtà, così può accadere nel transito immaginario dell'esistenza, ovvero le proiezioni, i desideri sospesi nello spaziotempo senza limiti. Alle porte di un nuovo anno ci troviamo ad affrontare un nuovo viaggio, memori di occasioni perdute.

Questo libro ci dona il passaporto, il passepartout lieve ma prezioso, legato alle passioni nascoste, le occasioni celate, i vissuti cristici, che non serve sempre accettare ma mutamente riconoscere.

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L'autrice

Patrizia Caffiero, nata e vissuta a Lecce fino al 1996, si è trasferita prima a Ferrara, poi a Bologna, e dal 2006 ad Anzola dell’Emilia dove lavora al Servizio cultura del Comune. È laureata in Lettere e Filosofia (Università del Salento) con una laurea dal titolo “Pasolini e il Potere. Linee per un’interpretazione storico-politica.” Il suo primo romanzo, una ghost story, scritta in collaborazione con la Scuola di Scrittura Omero di Roma. Dal 2019 collabora con la compagnia teatrale “Macellerie Pasolini” di Bologna diretta dal regista Ennio Ruffolo. Ha fondato il blog letterario “Prima della pioggia”.

 

Il libro

Titolo: Il pianeta delle occasioni perdute

Edizioni: Musicaos Editore

Pagg.: 164

Prezzo: € 15,00

Voto/Valutazione: propositivo