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La cerca metatestuale nei lavori di Paolo Paglia

08/06/2019 02:01

Admin

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La cerca metatestuale nei lavori di Paolo Paglia

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La cerca metatestuale nei lavori di Paolo Paglia 

Speciale evergreenLe recensioni in LIBRIrtà

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A cura di Marco Iacona
Chiedetemi cosa fa esattamente un direttore d’orchestra e vi risponderò: in genere, è colui che ha una visione del mondo. Ordinariamente, più vasta del pianeta-musica. 
 Paolo Paglia è, per parte sua, cercatore di esperienze nelmondo, il che non significa ch’egli intenda arrestare l’indagine "conoscitiva" che personalizza il suo stato, al piano di un soddisfacimento esplicito e, per ciò stesso, tranquillizzante; tutt’altro: le discipline in insolito accostamento - dalla musica alla matematica dalla speculazione all’arte figurativa, razionalmente coincidenti - incrociano le aspirazioni a una "divina" armonicità micro e macrocosmica - nella sua essenza: antroposofica - delle relazioni tra il Sé e l’altro da Sé. 
 Per aspirare a una conoscenza filosofica di dimensione noetica le profondità spiazzanti degli scritti di Paglia - seppur, ovviamente perfettibili - abbisognano di un approccio di tipo metatestuale. Per il quale cioè il non detto - intuibile secondo ispezioni coscienziali in senso lato - ha perfino più valore dell’ordine comunemente discorsivo. Per ciò stesso, Paglia fonde sintassi della composizione, esercizio, didattica e, appunto, scrittura divulgativa addottorandosi a un tutto-costruente, pedinando il suo legittimo Graal tra gli intervalli delle note o, che è apparentemente altra cosa, nelle riflessioni sullenote. 
 Nelle affabulanti Storie di musicaillustrate da Valentina Capobianco, per esempio, sceglie la dose creativa, divertendosi a narrare, oltre la simbologia musicale, aneddoti d’antica data. Dall’aureo periodo classico espettorante Mousiké al medioevo misterico di Guido D’Arezzo, dalle sfrenatezze rinascimentali alle dense onorabilità barocche, dal nostrano dramma in musica allo strapotere del talento germanico, dal merito dei grandi virtuosi - guidati da Nicolò Paganini e Franz Liszt - al genio affliggente - calibrato e incantato - degli spiriti romantici.Traguardo necessario, la musica nel nostro tempo: colonna sonora logicamente aderente all’universo mercatista; nella quale si sconta il maggior deficit di passività nella realizzazione del piano d’armonicità. Trattasi dell’antico, non invecchiato, scontro metafisicamente ispirato tra modernità nella sua ordinaria prasseologia e antimodernità, d’espressione non temporale bensì valoriale. 
 Tanti i libri sui compositori, sull’universo dei compositori, sul sapere e sulla gloria del sapere. Paglia ha il pallino della debolezza perché vive di cultura e nella cultura - precisamente: nel libero interscambio tra conoscenze e intuizioni - vorrebbe vivere. Il suo posto è oltre l’infinito delle umane certezze attendente alla kunderiana insostenibile leggerezza. Un cortocircuito socratico, tra la voglia di sapere e l’umana consapevolezza di non poter sapere, sfama la passione per l’incondizionato - a far da calmiere uno studio "matto e disperatissimo" - impreziosita da una loquela pienamente confidente, a tratti luminosa, col mondo di vita. Cordiale e autoironico, paziente, ispirato comunicatore. Vive di quello che la sua città - Alba - gli offre, cioè di una continua penuria di soddisfazioni. 
 Alcune righe per ri-decorare un prospetto d’arte e sensibilità. La musica è in rapporto di complessità con se stessa - racconta - stacca il fanatismo della viscerale oggettività. La pretesa obiettività nuoce più dell’anarchia dell’opinione; i "contenuti" musicali sono, per ciò stesso, presentati in forme stabilite che a loro volta rimandano a sostanze di grado preminente. I suoi ultimi libri manifestano, naturalmente, una comprovata fase di rivelazioni, ben costruite, meditate, tradotte sulla "verità" del metatesto; fase riflettente una lunarità analitica a misura d’audacia. Stadio ribollente personalità e impegno; trattandosi in primo luogo di giochi di serietà - potremmo azzardare - in rivalità con se stessi. 
Fingiamoci un Da Vinci e percorriamo dalla fine il suo Pianissimo- storie di musica e filosofia, tra suono, silenzio e varia umanità- dedicato a Elisa e ai fratelli pitagorici della sua città. Arturo Reghini in bibliografia con Agostino, Jacob Böhme e Schopenhauer. Paginate di dubbi in campo d’astratta ricerca filosofica; come porre, cioè, l’epistéme al servizio di un domandamento spirituale con razioni di percepibile e già dichiarata materialità. Laddove il divenire si restringe in un’intima mutabilità di mezzi ma, ci pare, non di fini. I quali rimangono - in astratto - di qualità realizzativa. Una dichiarata, ma non per forza gloriata, perfettibile "cerca", adornata da tonalità chiaroscuranti si presenta agli occhi di un lettore - mite e delicato - incuriosito, di certo, da una fraseggio a un tempo schiettamente distinguibile e rotondo. Ricco d’umile avvedutezza. 
 Che dirlo a fare? Paglia musicalizza il cosmos cedendo, qui e lì, alle polemiche circa gli utilizzi moderni dell’arte; proponendo un dualismo in visioni del mondo tra un’arte esplicitamente profanata e un approfondimento - non meramente escapista - omnidirezionale potentemente extrafisico, poetizzante, sacralizzante, fortificante in senso pieno, finanche alchimico. E di questo significato si giova anche l’arte della parola - nelmondo - in rapporto di figura retorica con la restante parte del creato. 
Ne Il cenacolo - l’improbabile melodia, composto a quattro mani da Paglia e la storica dell’arte Piera Arata, la focalizzazione su un oggetto di studi è a suo modo felicemente "costringente", seppur gli esiti con tanto di aspirazioni - la spettacolarizzare in termini compositivi del compiuto - non deraglino affatto le attenzioni del lettore e le volontà di prima mano degli autori. La successiva presentazione al pubblico di una melodia leonardesca rintracciabile nell’opera milanese si configura come una fase ulteriore, e nel suo stadio perfezionativo, della cerca di un equilibrio dinamico tra componenti a prima vista ludiche. Dunque, non risiede solo nel volere filosofico o melosofico di un attore, qui e adesso, la possibilità di individuare, per dovute astrazioni, gli aneliti armonicamente significativi, bensì è nella realtà empirica, nella testimonianza artistica la chiave per la comprensione dell’accostarsi continuativo a una "sicura" dottrina.
 In questa parziale inversione con attributi epistemologici, notiamo un’opportuna impennata di livello. Una possibile svolta nella cerca graalica, non più e non solo "scolastica" e intuizionista, bensì di tipo "oggettivo" accompagnata da filoni di ricerca sul campo, seppur d’ambigua, tecnicistica risultanza. Dal nostro punto di vista, non può non far bene. Avanzando dalla plasticità del disegno leonardesco, l’atteggiarsi dei discepoli di Gesù, la posizione cioè delle loro mani, rivelerebbe la presenza di note musicali, come già sostenuto dal musicista Giovanni Maria Pala. Lo stesso Paglia tuttavia è titubante sull’esatta impostazione scientifica in punta di preparazione e naturalmente di filologia - peraltro non si tratterebbe di melodie trascendentali -, prediligendo egli stesso, seppur non esplicitamente, la ricchezza metatestuale della ricerca. 
 Quel prendere confidenza con la dimensione "ultima" dell’arte, da intendersi come spregiudicatezza ermeneutica costantemente in palio tra la mano dell’artista e l’istanza percettiva del destinatario.

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