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I Vivo su Letto, riletto, recensito! ospiti di Federica Duello

24/02/2020 01:01

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I Vivo su Letto, riletto, recensito! ospiti di Federica Duello

I Vivo su Letto, riletto, recensito! ospiti di Federica Duello nella rubrica Non solo libri Le newsNon solo libri   Damiano TempestaNon solo libriQuel

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Vivo su Letto, riletto, recensito! 

ospiti di 

Federica Duello nella rubrica Non solo libri

 


Le news
Non solo libri

 

 

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Damiano Tempesta
Non solo libri

Quella volta bi o trimestrale che proponiamo la rubrica Non solo libri, ci impegniamo a scoprire, arti, mestieri, talenti, qualità, impresa e ve le raccontiamo con quel gusto particolare che il nostro blog, cresce e può dare ben oltre il solo libro (che per noi rimane deus ex machina). Oggi vi raccontiamo della band Vivo, formata da Damiano Tempesta, Nicholas Carpinato e Giuseppe Musmeci, quest’ultimo, che all’età di sei anni ricevette l’illuminazione per la musica, è anche l’inventore di uno strumento che permette di proseguire a comporre anche quando incidenti naturali o di percorso bloccano i musici.  
Infatti il poli strumentista, lo diverrà in pochi anni passando dalla chitarra al clarinetto, presenta la bellezza del tout court nella sfera musicale. Giuseppe Musmeci è l’inventore della chitarra a tre corde, dove non si limita a levare le rimanenti tre, ma accorda, abbassa di tono e ne inverte le tonalità in modo che sia la classica che l’elettrica non possano sfuggire al controllo di chi la usa per diversificati motivi. La chitarra a tre corde permette due opzioni: produce melodie singolari ed è uno strumento che pedagogicamente nasce a supporto di chi necessita di suonare in momenti particolari quando incidenti naturali o di percorso, creano degli stop fisici che limitano il proseguo dell’attività musicale, con questa straordinaria invenzione non si smette di produrre. Stiamo parlando del concetto di genio, che fonda Vivo e del quale segue l’intervista di Federica Duello.


 

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Il live della band al Lettera 82 di Catania

L’intervista a cura di Federica Duello
"Vivo: un progetto o un messaggio?"«Conobbi Giuseppe Musmeci un pomeriggio di un giorno invernale del 2019, alla fermata della metro, in procinto di essere ospitato a casa mia per una settimana. Come si fa a invitare qualcuno che non si conosce neanche, all’interno delle mura del proprio nido domestico?! Me lo chiesi anche io allora, ma vedendo a che punto la nostra amicizia è oggi arrivata, fortunatamente non ho mai avvertito il desiderio o la necessità di pentirmi di tale decisione.Tale opinione è stata poi "confermata" e anzi, rafforzata, dalla sua musica: un continuo crescendo di rock che sfocia in qualsiasi sua variante esistente e non, in cui anche le anime più diverse hanno la possibilità di rispecchiarsi nella stessa canzone: si va dal metal al punk, all’elettronica, all’immancabile sperimentale indipendente,per poi rischiare di perdersi nei meandri della sua immaginazione un po’ folle ma creativa quanto basta per regalare perle, che è la componente che sorprende maggiormente in quanto svela ogni singolo aspetto della particolarissima personalitàa cui sono adesso associati anche Nicholas Carpinato e Damiano Tempesta, rispettivamente il batterista (nonché, da poco, anche bassista) e il chitarrista del progetto "Vivo".Da questa collaborazione è nata, tra i piccoli tesori fino ad ora nascosti, una canzone che mi ha incuriosito particolarmente per ogni sfumatura umana e musicale che conserva tra le note; da qui, l’idea di intervistare il gruppo per conoscere il loro passato artistico, la loro unione come band e la nascita di "Molecole"».
Finalmente mi ritrovo qua, a parlare di voi: voglio procedere per ordine e farvi scoprire poco a poco, iniziando dalle vostre origini per poi andare fino al tempo presente. Dunque: qual è stato il processo evolutivo che vi ha portato a decidere, un giorno, di prendere uno strumento in mano e farvi dire adesso suonerò per vivere?
Nicholas«Io ero un cosiddetto piccolo meccanico: avevo l’hobby di montare e smontare il mio motorino; vivevo "alla giornata". Robetta da niente; poi un giorno alcuni amici miei mi misero le bacchette di una batteria in mano e dopo avermi spiegato un ritmo, lo seguii per tutta la serata mentre loro mi andavano dietro con chitarra e basso: quella era la prima volta in assoluto che toccavo uno strumento. Poi mi sono interessato, presi delle lezioni da un amico di mio fratello. Il resto l’ho appreso da autodidatta e tramite la musica creata con altri».
Io passerei a Damiano per poi andare su Giuseppe. Cosa ci dici tu, sul tuo passato?«Io da piccolo odiavo tutto ciò che avesse a che fare con la musica. Nonostante mio padre fosse un musicista, continuavo ad avere pessimi voti a scuola in materiamusicale. Un giorno ascoltai un documentario su Rino Gaetano: qualche giorno dopo chiesi a mio padre di comprarmi una chitarra e da lì non smisi più di fare musica. Intorno ai diciassette anni entrai in un gruppo con cui facevo cover, poi un’altra ancora con cui facevo inediti; le prime scritture vennero intorno a quell’età a"causa" dell’amore. Poi concorsi e altra roba strana come il rock giapponese, fino ad oggi».

Poliedrico dunque! Per quanto riguarda invece il nostro Giuseppe in arte Vivo: come è andata la tua trasformazione?
Giuseppe«Io posso dirti che la musica è la mia più fedele compagna, è la mia ragione di vita. Mi ha salvato la vita, quindi se oggi io sono qui, con te, a parlare, è per merito della musica. All’inizio non mi piaceva perché, con lo studio, si faceva tantissimo solfeggio, ma a poco a poco me ne innamorai. Di più (per adesso) non posso dirti».
Tu (Nicholas, n.d.r) e Giuseppe vi conoscete da parecchio tempo ormai, ma come siete entrati in contatto e quando è stata la prima volta che avete capito che eravate destinati a creare qualcosa insieme?
Nicholas«Ci conosciamo da tredici anni. Lo incrociai in occasione di una festa all’interno di un garage: entrai e lo vidi lì, appollaiato come il gobbo di Notre Dame a suonare da un soppalco dal tetto più basso di lui, appoggiato sulla sua chitarra a tre corde; rimasi come incantato dalla sua persona e dal suo stile e stringemmo amicizia. Fu un amore artistico a prima vista; poi le varie cose della vita, gli studi, altri progetti o distrazioni momentanee ci allontanarono e per un bel po’ di tempo le nostre vite si divisero. Questo fino al 2018, quando, grazie ad amicizie in comune andai a casa sua e lì lo ritrovai: così, ricco io delle mie esperienze e lui con la sua "chitarra magica" abbiamo cominciato a provare, a creare nuove cose e a sviluppare le canzoni che lui già aveva composto».
Da parte tua, Giuseppe, aveva già un progetto in mente quando hai cominciato a far muovere i primi passi a Vivo o è stato tutto un divenire?
Giuseppe: Allora, prima di tutto sento il dovere di smentire Nicholas, perché la prima volta che ci incontrammo fu in una festa in campagna, e ne rimasi, appunto, folgorato - ride. Il mio disegno è sempre stato presente e abbastanza chiaro; nel corso del tempo ho cercato di farlo "vivere" anche insieme ad altre persone con cui suonavo in precedenza ma che poi, per vari motivi, sono uscite dalla mia vita».
Ritorneremo sul tuo percorso musicale perché voglio che tu mi chiarisca alcune cose, più tardi. Qui con noi c’è anche Damiano, ultimo ma non ultimo membro della band: come sei entrato all’interno del progetto "Vivo"?
Damiano: Conobbi Giuseppe all’epoca in cui suonava in una sua band chiamata Zephiro Kid, equella sera era in un locale ad Acireale: rimasi subito affascinato dalla musica un po’ elettronica, particolare... Qualcosa che non si era mai sentito prima. Poi, per avvenimenti vari, le nostre strade si sono separate per poi riunirsi di nuovo più o meno otto mesi fa, quando mandai un messaggio a Nicholas (era da molto tempo che non ci sentivamo), in cui mi offrivo come chitarrista. Neanche tre ore dopo mi rispose convocandomi il lunedì successivo per delle prove. Non ci andai, e il giorno dopo, il martedì, Nicholas mi contattò nuovamente per chiedermi che fine avessi fatto annunciandomi solo dopo che avevano bisogno di un chitarrista per una serata che si sarebbe svolta nell’arco di pochissimi giorni. Morale? Ho dovuto imparare una quindicina di brani in meno di cinque giorni. Fortuna volle che alla fine sono piaciuto e hanno deciso di accettarmi tra di loro. Alla fine, si può dire che è stato tutto un gioco del destino, doveva finire così».
Non si può dire altro che questo progetto è riuscito anche al di là delle difficoltà, ed è in questo modo che misura la determinazione delle persone nel voler raggiungere un obiettivo. Giuseppe, il mio focus si riconcentra su di te adesso: quando è stata la prima volta che hai cominciato a suonare?
Giuseppe«Il primo attimo di composizione non è mai stato chiaro neanche a me, ma ti posso dire che studio musica da quando avevo sei anni; a tredici sono entrato al liceo musicale e ho studiato il clarinetto, strumento che ho suonato all’interno della banda:posso dire di aver avuto a che fare con la musica fin da quando ero bambino, e ho sempre voluto fare solo quello. Inoltre, mi sono reso conto che quando non sei tu a rincorrere la musica è lei che viene a cercarti, e questo è accaduto anche per quanto riguarda la scrittura dei testi delle mie canzoni».
Dopo aver studiato il clarinetto, come è progredito questo tuo cammino musicale?Giuseppe«Ho scritto la mia prima canzone verso i quattordici anni, e il tema, beh, neanche a dirlo, era l’amore. Dopo di ciò, come dicevo prima, non ho mai rincorso l’ispirazione musicale, ma era lei che mi scovava come e quando ne aveva voglia. Perché poi, posso stare una settimana senza scrivere, e in un giorno ne completo, possibilmente, tre. Non ho mai pensato Adesso mi siedo e scrivo": tutto nasce da solo. Poi ovviamente ti ci concentri di più e la sistemi, la ridefinisci... ma il momento creativo, la struttura come anche la melodia, non dipende da me. Personalmente, penso anche che sia meglio così: non sai quando arriverà, e quando è il momento, quello che ne viene fuori è una sorpresa anche per te».
Beh capisco: scrivi quando non puoi farne a meno, e finisci in men che non si dica perché tutto il materiale era già lì e non vedeva l’ora di esplodere fuori. Hai scritto le tue prime canzoni con lo stesso stile di adesso?
Giuseppe«C’erano già degli indizi, ma era diverso. Mentre parliamo, mi viene in mente una delle prime canzoni che scrissi: erano gli anni della guerra in Sarajevo e la scrissi appunto su questo argomento; mi ricordo che aveva già delle parvenze di ciò che faccio adesso, quindi probabilmente sì, ero già riconoscibile, a livello di stile.Ovviamente anche quello non è da ricercare: ti investe, non puoi farci nulla. Prendi questo singolo, "Molecole": è una ballata, a tratti sembra diversa da tutto il resto».
Questo anche perché hai cambiato nome artistico varie volte: puoi dirmi quali sono i nomi che ti hanno visto protagonista, musicalmente parlando?
Giuseppe«Può sembrare strano, perché almeno fino all’età di vent’anni ero attratto dalla musica classica, quindi avevo un’impostazione diametralmente diversa da quella che hai davanti a te oggi. Il mio primo, vero, gruppo, è arrivato all’età di diciotto anni: facevamo cover dei Led Zeppelin, musica Country... ci chiamavamo "The Boss", e lì suonavo il clarinetto. Poi ho conosciuto chi è tutt’ora un grandissimo amico mio e abbiamo formato un duo, i "Zephiro Kid" come diceva prima Damiano e con lui sono cresciuto per vent’anni della mia vita, fino al mese di gennaio del 2019; dopodiché ho deciso di separarmi da lui, per lo meno artisticamente, e andare da solo. Non avevo una luce chiara nella mia mente, non sapevo dove andare. Sapevo solamente che era arrivato il momento di staccarmi dal passato».

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Nicholas Carpinato

E dopo aver passato un tempo dedicato alla creazione, hai conosciuto loro (Nicholas e Damiano) e hai voluto imbarcarli in questa impresa. Felice della tua scelta?
Giuseppe: «Con loro due si è creato un rapporto umano che va oltre la musica: per me, questo è fondamentale, per poi poter produrre e soprattutto per rendere. E ci crediamo davvero: non esiste un leader, siamo un’unica persona, siamo tre ma pensiamo come uno. Con Damiano, come spesso succede anche nei rapporti di coppia soprattutto nei primi periodi, ci sono stati dei momenti bellissimi intervallati da altri di scontro: si può dire che nei primi quattro mesi premeditavo l’omicidio. Poi ho imparato a conoscerlo meglio e a tollerare la sua personalità. Per quanto riguarda Macinino (Nicholas), si dovrebbe spendere qualche parola in più perché dopo tredici anni ci sarebbe tanto da dire. Travagliato come pochi, ma alla fine siamo ancora qua».


Su che genere si basa la vostra musica?Nicholas«Diciamo che è una sorta di fusione tra elettro-pop, rock, tocca il punk, il funk.. ha molte sfaccettature. Non c’è una costante tra una canzone e un’altra e molto dipende anche dal mood in cui ci troviamo, dall’argomento, e da quello che ci suona bene quella volta».
Si può dire che adesso ci conosciamo meglio, quindi andiamo al centro dell’interesse di questa intervista: il singolo, uscito da poco, "Molecole". Chi me ne vuole parlare, come è cominciato e perché?
Damiano«È un po’ difficile, ma ci provo io: un giorno arriva un messaggio di Giuseppe, a me e a Nicholas in cui c’era scritto "Ragazzi se doveste immaginarvi di essere un quadro, come vi sentireste, come lo descrivereste?" a cui né io né lui (riferendosi a Nicholas) abbiamo risposto. Al che, Giuseppe invia un nuovo messaggio: "Se vi viene qualche idea, ditemi tutto":per la seconda volta, non ha risposto nessuno dei due. La cosa sorprendente è che è arrivato in sala prove due giorni dopo... col testo già scritto! Ho buttato giù due accordi ed è uscita quella che fu la prima versione».
Giuseppe«In quest’occasione non possiamo non spendere due parole per chi, insieme a noi, ha fatto il featuring: Gia Ma, un amico, cantante reggae catanese che una sera mi disse di sì. La nostra collaborazione nacque all’interno di una fucina artistica, il casolare Caldera di Flavio Failla che riunisce, in occasioni di Jam Session, molti musicisti e gente di vario genere. Ascoltando la canzone, ci siamo resi conto che si poteva incastrare anche l’innesto di un’altra voce, completamente diversa per genere, timbro, ma che abbiamo benedetto perché non fa altro che regalare leggerezza e novità al pezzo».
Un incontro interessante, senza alcun dubbio. Ma come mai a un certo punto, hai sentito l’urgenza di scrivere "Molecole"?
Giuseppe«La canzone nasce una notte, quando cominciai a pensare se il disegno avesse un’anima: se un disegno potesse osservare, dall’interno, chi lo sta osservando e le emozioni di chi gli sta di front-e; tutto questo ovviamente avviene mentre chi è all’esterno, dall’altra parte, non si accorge che il disegno è, per l’appunto, vivo, senziente. E prova emozioni».
Molto fanciullesca quanto sognante, come idea. La canzone è uscita, quindi, esattamente per come avete detto voi prima?Damiano: «Non proprio. Abbiamo affrontato una fase di post-produzione insieme a Fabio Abate, che ha voluto darci una mano per quanto riguarda piccoli accorgimenti, abbellimenti. Pochi ma necessari. Un artista molto bravo e molto riconosciuto che si è rivisto e ha voluto sposare il progetto Vivo e per questo ha deciso di fare la sua parte, per cui lo ringraziamo».
Giuseppe«C’è anche da dire che la sua partecipazione rende i nostri pezzi ancora più particolari, come si diceva per Gia Ma. Non ci piace l’esclusività, la diversità è ricchezza, d’altronde».
Assolutamente. Progetti in vista per la canzone?
Nicholas: «Abbiamo già un work in progress per quanto riguarda il video musicale. Il resto verrà con il tempo».
Dovete però chiarirmi una cosa: nel video di youtube si vede un’immagine creata al computer che rappresenta un cuore, anatomicamente molto accurato devo dire,attaccato, tramite un filo, a una presa di corrente, e rinchiuso dentro una stanza dalle pareti bianche mentre fuori dalla finestra, posta dietro questo cuore, si può vedere la notte e la Luna.
Giuseppe«L’autore di questo cuore è Marco Muslera. È un cuore in stand-by, sotto carica. Il filo, se ci pensi bene, è un mezzo per effettuare una trasfusione, in questo caso di corrente. E l’obiettivo è, a fine canzone, di far ricaricare completamente il cuore perché riesca ad amare di nuovo, a ricrederci».
Fate sognare. Ultima richiesta: potete svelare un pezzo del testo della canzone?Giuseppe, cantando: «Rimango indifferente a osservare un quadroUn quadro di colori accesi e linee senza un senso Un materasso viola sopra la cornice: Sono rimasto fermo. Chissà cosa si prova a essere un disegno? Potrei provare a essere chiunqueVedere l’emozione dall’interno Lasciarti senza parole. Potrei immaginarlo tutto nero Oppure fare solo un cerchio al centro Ma il pennello poi si emoziona E inizia a disegnarci dentro tutto l’universo. Chissà cosa si prova a essere perfetto? La perfezione è l’utopia di chi si chiude senza un senso Il tempo non esiste e la memoria Lo stesso attimo che vivi in un secondo è storia... Per incanto, io vedo te E respiro le ultime molecole...»

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Giuseppe Musmeci

Ci vuole un po’ per riprendersi dopo la magia creata da queste parole: immaginatela poi con musica annessa. Una piccola perla che, personalmente, dà modo di sognare e sperare che ci sia ancora spazio per la buona musica d’autore. Non posso far altro che augurare il meglio a questo trio scoppiettante e sognatore, che per quanto mi riguarda, mi dà speranza nel credere che a questo mondo, nonostante le brutture degli ultimi tempi e le previsioni non esattamente rosee, ci sia la possibilità di immaginare un quadro in cui l’insieme si renda conto di essere finalmente reale e non soltanto un’immagine.