Gabriele Scarpelli
Si, ma nella vita cosa fai?
R&S Edizioni
L'angolo della poesia
A cura di Paolo Pera
LA NUDEZZA DI SCARPELLI
Nella sua stanza d’albergo, come un novello Baudelaire, Gabriele Scarpelli batte a macchina le sue confessioni. Non senza un tocco di decadenza, né senza qualche vizio, il Nostro ci intrattiene con un librino che va tenuto in tasca e sfoderato per ridere dell’amara constatazione che la vita è fatta di tanto schifo, ma pure di rigogliosa bellezza femminile! La sua opera d’esordio, Sì, ma nella vita cosa fai? (R&S Edizioni, 2020), è infatti divisa in due “tomini”: uno esistenziale, quasi una radiografia del vita del poeta; mentre l’altro assume le forme d’un canzoniere amoroso dedicato a un ampio harem di fanciulle idealizzate in un’unica grande e sublime donna, Beatrice, colei che consegna l’eternità e che distrugge ogni cosa dopo il suo passaggio.
In una sorta d’infinita vacanza (in hotel, appunto) Scarpelli ha da essere solo sé stesso pur di non farsi rubare il tempo terrestre in cambio di cartamoneta, egli – nel primo blocco – abita un’esistenza à la american fatta di struggimenti amorosi, poi sanati con palate di medicinali e hamburger (che paiono essere il suo nutrimento essenziale): Questa pozza di vomito poco fa era un hamburger…
La vita bohémien del poeta, arricchita d’amicizie e argute riflessioni, già dall’ossessione per la donna potrebbe ricondurci al fenomeno del bukowskismo imperante: qui tradotto in una nausea dello stesso, nausea di cui l’autore non può fare a meno. Il primo tomo del libro infatti ci dà un quadro per lo più agrodolce, il quadro d’un uomo che sa affrontare la vita col sorriso pur nascondendo un gran senso di vuoto. Quella del Nostro pare essere una scrittura di tendenza iper-confessionale (nuda!) che raccoglie ogni fenomeno apparso all’io, degno dunque d’essere immortalato nel proprio diario intimo.
Tra le ossessioni che più spiccano, oltre alla celeste immagine delle sue donne, v’è pure una passione per quella pornografia ormai ridotta a estetizzazione (anche) d’ogni depravazione purché goduriosa. Dice Scarpelli: mai nessuno che ti chieda / cose tipo: / “amico, / qual è il tuo genere di porno preferito? […] Domanda fondamentale, dunque, sia durante un’intervista che in un rapporto amicale. Come non rimanere sbalorditi di fronte all’amore per la pornoattrice August Ames? Che, dal poeta, viene scoperta morta in ritardo: mi sono masturbato per tre lunghi anni / su di una divina defunta… E anche questo potrebbe essere un genere di porno, a parere dello scrivente. V’è qui da comprendere che cosa egli amasse della Ames: la sua bellezza o le azioni che compiva al di là di una telecamera? Conoscendo un minimo Scarpelli credo di capire che la disperazione in lui venga dalla disfatta di tanta bellezza (fino a quel momento idolatrata). In questo senso infatti egli ha un po’ del esteta, e del maledetto!, chiuso a ricordare quanto glorificava la sua vista…
Se le composizioni della prima parte si presentavano come un insieme di raccontini in quasi-poesia, ricchi però d’un ritmo interno alla narrazione, il secondo blocco raggiunge delle forme molto preziose di visione e pensiero. In Scarpelli insomma v’è una genuina produzione volta anzitutto all’esternazione, non tanto degli angoli bui del sé quanto di ciò che esso subisce o s’infligge: quello che leggerai non ti piacerà / ma avevo bisogno di scriverlo. Proprio per ciò tale genuinità raccoglie tutta la nostra simpatia, colpevole pure di proporci alcune interessanti costruzioni linguistiche e concettuali: rielaborazioni modernissime d’esperienze già da sempre aleggianti nel macrocosmo poetico.