A cura di Gianfranco Cefalì
Siamo tutti un po’ Tamara, siamo tutti esseri in potenza, umani non troppo antropici seduti su un divano in balia di eventi che ci precipitano addosso, nella mente, in un continuo flusso narrativo dipendente da un ecosistema che fagocita noi e le nostre emozioni reazioni. È sola, immobile, davanti a poche pagine scritte e già mi sembra di esserci anche io su quel divano a farle compagnia e a farmi bombardare i miei pensieri di essere senziente non consapevole, davanti uno schermo sì televisivo, ma che presto si trasforma, nella mia mente, nella contemporaneità di minuscoli pixel ripassati e scorsi con fretta gioiosa golosa dell’indice o del pollice, come se il dito prensile oramai fungesse a questa ridicola operazione quotidiana totalizzante. Ed è inutile il mio pensiero al Moderno Prometeo incatenato o meno che è una delle fissazioni dell’uomo, sì perché qui non si parla di robot e intelligenza artificiale, non si parla di tecnologie invasive e sostitutori di azioni ed emozioni umane, di surrogati sessuali o bambole gonfiabili con un ego e parola, qui siamo nel campo dell’uomo, dell’essere umano come animale vivente all’interno del suo precipuo biosistema fatto di altri esseri umani, oggetti utili e inutili, neon sfacciati e trucchi esibiti malamente in un mondo che fatica a farsi percepire come reale e vero e come supporto a qualsivoglia reazione umana decente. Tamara è più oggetto che soggetto, e come tutti gli oggetti, esso è espediente, è innesco, è miccia che si consuma lenta o rapida in conseguenza alla semplice banalità del quotidiano, in rapporto agli atti senza importanza, presunta o no, vera o falsa, giusta o sbagliata. Tamara è un tramite, un semplice cordone ombelicale che svela il vero discorso intorno all’uomo che si vuole rappresentare, non di certo automa ma concreto umano nell’agire pubblico, sociale, amicale, umorale, amoroso. E il discorso cambia, muta forma e si profila all’orizzonte la nostra vita, i nostri piccoli o grandi traumi, le nostre vite piene di piccole evidenze senza importanza, rilevantissimi per essere concreti, duri come il marmo, che alle volte fa di noi statue, immobili sopra un piedistallo che nella realtà non ci eleva e porta da nessuna parte, alle volte ci mette in mostra o siamo noi a volerci mettere in mostra, non capiamo che a malapena ci sostiene e non ci accorgiamo nemmeno che quello potrebbe essere un baratro.
Lavinia Mannelli usa l’espediente del robot per parlare di argomenti molto interessanti: nella prima parte siamo conquistati da Tamara, oggetto che presumibilmente, no, sicuramente dovrebbe soddisfare i piaceri della carne, acquista una coscienza per parlarci del suo sguardo, del suo pensiero e del mondo che la circonda. Buffa, ingenua, pensa al mondo come se ne fosse davvero consapevole, immersa in un flusso che la sommerge e da cui non riesce proprio a uscire. Pensa la televisione come il mondo reale e ci restituisce una panoramica sulle condizioni della marea e passività di una visione senza discernimento. Ma così dicendo il testo sembrerebbe anche troppo semplice, in fondo sono passate solo poche pagine, e infatti il focus si posta da tutt’altra parte: nel rapporto tra Guido e Giulia. Giulia regala Tamara per il compleanno del marito, in un dono sfida celata che vorrebbe accendere di nuovo una fiamma sopita, in un gioco di sguardi e ricatti emotivi sottili che vorrebbero mettere alla prova non solo Guido ma anche sé stessa. Entrambi avranno in Tamara un bersaglio più che una complice, un oggetto su cui riversare non solo le frustrazioni di una sessualità che non brucia più, ma sarà anche una ricerca esperimento stimolo dell’altro, di sé stessi; il bramare un semplice contatto dell’abbraccio o la complicità in un rapporto incagliato in un fondale sabbioso roccioso resistente. Così sarà colpa inespiabile che finirà, come tutte le cose a batteria, scarica in mezzo a degli scatoloni, ed è solo dopo, alla fine di tutto, quando tutto sarà crollato o ricostruito, che ritroverà una collocazione inaspettata, appannata, ancorata ancora e ancora fino all’esaurimento della carica.
E poi c’è David, l’altro personaggio di questa storia. Artista che ha votato la vita alla madre ormai malata, in un misto di orgoglio e scelleratezza, screziato dal passato successo, statua vivente per Firenze, non riuscirà a far sì che la sua vita abbia il significato che le vorrebbe dare. Non solo macchine, non solo luddismo, anzi per niente. Uomini, passioni, amore, arte. Riflessioni su tutto quello che di umano c’è: un corpo, dei corpi, un luogo, dei luoghi, un amore, nessun amore, una gelosia, tante gelosie, un’arte, tante arti, una colpa, tante colpe, un’idea solo abbozzata, dei principi mai strutturati, una vita, tante vite, nessuna vissuta con pienezza.
Un libro sui rapporti umani, che dosa in maniera eccellente gli argomenti, lasciando sottotraccia un segno forte su alcune questioni su cui l’uomo dovrebbe porsi più domande. Potremmo così dire che è un testo sull’interazione uomo macchina, sullo spavento piacevole di un robot pensante e non agente in totale autonomia, di sicuro non cadremmo in errore, ma è opportuno soffermarsi su altri aspetti, e dirigere il nostro sguardo sui soggetti e non gli oggetti e parlare di rapporto di coppia, di differenze e uguaglianze, di speranze e illusioni degli uomini o artisti che siano, della capacità e volontà degli artisti stessi di non vendersi, ma anche di malattia e solitudine, di certezze e sbandamenti umorali, di sacrificio e lotta finta, vera, incredula.
Le parole di Lavinia Mannelli scorrono morbidissime sulle pagine, nelle descrizioni, sempre ispirate, nei dialoghi precisi, nel restituire candore a Tamara o grettezza e bellezza a tutti i personaggi. L’autrice riesce nella sua scrittura a gestire in maniera pressoché perfetta tutti i registri adatti a un romanzo del genere. Piena di ritmo, suggestiva nei punti giusti, ci accompagna in una storia dai tratti davvero variabili, curiosi, umani, riuscendo con una dose giusta di malinconia, che è una bella caratteristica questa, ad attraversare una narrazione piena di ironia, struggimento e alla fine grande solitudine. Una prova di sicuro maiuscola per essere un esordio letterario che fa ben sperare per il prosieguo della sua carriera.
L'autrice
Lavinia Mannelli è nata a Firenze nel 1991. È dottoranda in Letterature moderne all'Università di Siena e all'Université Paris Nanterre, dove lavora a un progetto di ricerca sulle donne robot. L'amore è un atto senza importanza è il suo primo romanzo.
Il libro
Titolo: L'amore è un atto senza importanza
Edizioni: 66thand2nd
Pagg.: 160
Prezzo: € 15,00