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Una strana passione di Cristo

08/10/2021 01:01

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Una strana passione di Cristo

Alessandro Pertosa  - Passio - CartaCanta - L'angolo della poesia A cura di Paolo Pera

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Alessandro Pertosa

 

 

Passio. Con gli occhi degli altri

 

 

CartaCanta

 

 

L'angolo della poesia


 A cura di Paolo Pera

«Strana», così il filosofo Alessandro Pertosa descrive la sua lettura della Passione. Strana? Non direi, semmai nuova, laica e – come recita il sottotitolo – “con gli occhi degli altri”, ossia di chi non morì sulla croce. Passio (CartaCanta Editore, 2019) è un prosimetro – illustrato da Giuliano del Sorbo con una ruvidezza sporca, oserei dire, capace di rende molto bene il dolore che permea la narrazione evangelica – che ricostruisce gli ultimi giorni di Gesù di Nazareth prima del “compimento” della sua missione terrena. Come sottolinea diffusamente Davide Rondoni nella prefazione al volume la tradizione in cui Pertosa si inscrive – potremmo dire – ha origine in Luzi, allorquando gli venne chiesto di scrivere la sua versione (di credente) della Via Crucis in onore dell’oramai Santo Papa Giovanni Paolo II, qui invece il nostro autore tiene a sottolineare la mera affascinazione che tale “percorso del dolore” su di lui esercita in qualità di non credente. La Fede non è infatti il principio necessario per cogliere quella che è prima di tutto la sofferenza di un uomo – e poi, secondo il canone, di un Dio –, lo è semmai la comprensione d’essere uomo tra uomini in rotta verso la morte (ed eventualmente l’eterna vita successiva). Quanto mi ha spinto a leggere e commentare quest’opera non è solamente il piglio filosofico di Pertosa, che ci accomuna, ma un’altra cosa ancora (che ci rende ulteriormente simili!): la fascinazione per la metafora della croce, che non deve divenire fonte d’umiliazione per l’uomo e per la sua carne (cosa che talvolta viene a svilupparsi nei più credenti), ma una vera e propria estetica del dolore: del dolore composto, del bel soffrire che sarà d’esempio per ognuno di noi, noi che saremmo peccatori “redenti” dal sacrificio dell’Agnello; guardare la croce è consolazione, è prendere esempio di sopportazione del morire, dello svanire, – ripetiamolo – pure da pensatori laici. Troppo spesso si trova infatti chi, convinto di chissà cosa, nel proprio “laicismo” e/o ateismo (termine più volgare), rigetta qualunque visione di quella grande storia che è il Vangelo, in cerca talvolta di un pensiero “meno tragico” ma spesso più limitato. Ripercorrendo dunque la visione che i personaggi hanno di questo Cristo maltrattato Pertosa parrebbe quasi suggerirci una cosa non sempre ovvia: quel Gesù in cui molti confidarono non fu forse oggetto di svariate proiezioni? Tra tutti, di quegli zeloti che non riconobbero in lui il Messia capace di mobilitare i giudei contro la dominazione romana, vistone l’insegnamento alla pace e – grossolanamente – a “subire” «porgendo l’altra guancia». Di episodio in episodio il Cristo pare non esserci, poiché rimane schiacciato sotto i sentimenti pietosi dei suoi “coprotagonisti” (Pietro, Giuda, Pilato, Giovanni, Erode, ecc.), sentendo Pertosa ciò si dimostra raffinatamente meditato: «Cristo, come ogni uomo, è un enigma» mi dice «e gli enigmi non si risolvono. Ecco perché quest’uomo – che sarebbe Dio – sfugge: com’è possibile mettere in bocca delle parole umane a Dio? Com’è possibile dire: “Ho afferrato Cristo?”; l’uomo sfugge perché non smette mai di mutare la sua prospettiva, la sua comprensione, del reale», ecco dunque che Gesù diventa l’osservato dal pubblico, l’attore della sua storia, la sua solamente: la storia della sua morte, «[…] è solo suo / il sangue versato, il lamento; / sua / e di nessun altro / la morte». L’uomo muore da solo, nella morte nessuno lo segue, semmai lo accompagna… Questa è la tragedia, da qui la solitudine si fa ontologica, digià che la nostra vita è sola, è individuale, e mai si fonde davvero con la vita degli altri.

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 In questa marcia del dolore alcun coprotagonista (divenuto, però, protagonista in qualità di occhio che osserva il compimento della storia) sembra avere sentimenti astiosi nei confronti di questo Cristo, ma anzi di fronte a lui essi vedono sé stessi nella propria assoluta insignificanza, notiamo per esempio la reazione di Erode: «[…] nonostante questo sangue, hai ancora addosso il profumo delle rose, ma non parli. / La libertà ti prendi di tacere, così mi sfidi. / Non posso cedere al tenore dei tuoi sguardi…», eppure costui lo ridestina a Pilato per vergogna, poiché un re – di fronte alla purezza di chi morirà presto – rimane umiliato (pure nel suo potere!) dalla verità, dall’autenticità, di chi non lo teme. Notevole poi il discorso interiore di Simone da Cirene, che – costretto a sobbarcarsi metà del peso della croce – medita a lungo la sua estraneità verso quell’uomo, con cui non aveva speso alcuna parola prima d’allora e che ora stava aiutando (gesto rivoluzionario, peraltro). Egli vorrebbe almeno presentarsi a questa sofferenza che cammina, stabilire un contatto che verrebbe quasi a sproposito: «[…] e continuo a domandarmi se sto facendo bene… / Adesso mi sorride e quasi glielo dico. / Sono Simone, e vengo da Cirene». Invero però «uno così non lo puoi ammazzare…», pare invece che il giusto nel mondo non trovi naturalmente il proprio posto, ma che riesca almeno a guadagnare un colpo di grazia: «[…] e io che in battaglia ne ho schiantati mille, fatico a prendere la mira per infilargli la punta sotto il cuore… / / Un colpo secco, sangue e acqua. / Si compia finalmente questo orrore».

È infine curioso come Pertosa, senza per forza annunciarlo, voglia vestire infine i panni di San Tommaso, quasi ad ammettere il suo impagabile dubbio: «L’eterno si è incarnato, il Cristo è risorto, / ma io lo cerco ancora nella tomba; / i fori ai piedi, alle mani, il buco nel costato / la punta delle dita voglio infilarci; / oh Dio degli alfabeti / è vuoto questo sepolcro, vuoto il discorso che mi scorre nelle vene. / Resurrectio / parola sconcertante / che non so ascoltare…». La parola della vita che batte la morte non è infatti umana, alfabetica, ma sensoriale… Dirla, tentarla in ogni linguaggio del mondo, non significherà mai quanto sentirla profondamente viva in sé: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto».


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