A cura di Letizia Cuzzola
La prima cosa che mi colpisce nello sfogliare questa silloge poetica, “Vivere”, di Francesco Gallina (Dragonfly, 2020) è la forma, l’uso grafico del corsivo che riproduce la scrittura manuale, facendo entrare il lettore in confidenza col testo. Da sempre ho associato la scrittura corsiva a qualcosa di più intimo del commerciale e asettico stampatello.
«Sono un misero interprete/ di madre natura» scrive l’autore in uno dei suoi versi; leggo nell’intera opera Madre natura fra le righe del sentimento, dell’inquietudine: «Nell’incertezza/ si erge la colpa». La colpa, un senso quasi di inadeguatezza pervade le pagine. È un inno alle pieghe ombrose della vita, al vagare degli eventi che, volenti o nolenti, cambiano la nostra rotta: «Tanti sono i pensieri/ che abbiamo smarrito/ tra le svariate forme/ delle loro onde».
Gallina è poeta d’altri tempi, ricorda la poesia classica, i suoi tormenti, le sue pene non solo amorose. Quel che, però, mi ha colpito davvero è come la poesia appaia quasi come un parto da sofferenza in un pessimismo cosmico che dilaga. Sempre più raramente ci si abbandona al lirismo per gioia. In “Vivere” leggo un barlume di speranza solo a tratti, tratti molto leggeri: «Niente e nessuno/ è veramente spacciato/ se il suo cuore/ può ancora viaggiare».
Titolo: Vivere
Autore: Francesco Gallina
Editore: Dragonfly
Pagg: 159
Prezzo: 10