Italo Calvino
Gli amori difficili
Le recensioni di Sabrina Di Martino per Aleph, Scuola di scrittura e Letto, riletto, recensito!
Nel 1970 Italo Calvino pubblica, per gli “Struzzi” di Einaudi, la raccolta “Gli amori difficili”, una serie di novelle già edita nel ’58 con il titolo, ben più asettico, de “I racconti”.
Sono questi gli anni delle fiabe, del Calvino ariostesco e della rilettura dell’Orlando Furioso, dei romanzi sperimentali e opere a cornice, delle influenze francesi e delle suggestioni borgesiane: nel periodo più originale dell’autore si colloca, dunque, un’opera dall’impianto tradizionalista, almeno apparentemente, caratterizzata da racconti «degli anni cinquanta», sia in termini cronologici che più spiccatamente ideologici. Ma anche quando Calvino sembra guardare al passato, rileggendo, come in questo caso, gli schemi della novella ottocentesca, questi si proietta in realtà al futuro, scegliendo sempre binari divergenti, a costituire nuovi meccanismi, smontando e rimontando ingranaggi letterari, in un gioco inconsueto di simmetrie e opposizioni.
Alla base della maggior parte delle novelle di questa raccolta, composta da quindici racconti e suddivisa in due parti, c’è l’assenza di comunicazione, “la vita difficile”, il silenzio, quasi come tessuto connettivo dei rapporti umani.
Eppure, nel titolo, l’amore.
A questo proposito, si ricorda poi la pubblicazione in traduzione francese, nel 1964, come Aventures, titolo che pare, anche in questo caso, un gioco ironico di paradossi, preludio al Calvino che, come di consueto, si diverte a stuzzicare l’orizzonte d’attesa dei suoi lettori.
Tradizionalmente, infatti, l’avventura è azione, poderosi climax, improvvisi colpi di scena. Qui, piuttosto, l’autore tende a raccontare di moti interiori e sommessi, di stati d’animo, di silenzi.
Di incomunicabilità, appunto.
Le avventure calviniane sono giocate nell’attesa, rappresentate nell’esordio, fotografate nel loro iniziale dipanarsi. E spesso, nell’inizio, c’è già la conclusione.
Gli “amori” a cui allude sono sì reali, ma spesso impossibili, ostacolati, immaginabili solo nel pensiero, espressione di travagli interiori ben più funesti e tormentosi. Quindi, vediamo mani che non riescono a toccarsi o che lo fanno solo per poco, passioni soffocate, che non divampano o si estinguono rapidamente, assenze, che sono più materiali e tangibili delle presenze.
Ne “L’avventura di un soldato”, per esempio, la tensione voluttuosa che avvolge il fante Tomagra e la bella vedova, l’uno accanto all’altra nello stesso scompartimento di un treno, è compressa in piccoli tocchi, tra i muscoli, i tendini, le dita, le vene, le fibre degli abiti. Ma i due corpi sembrano immobili, granitici, come se il solo muoversi del treno ne sollecitasse l’avvicinamento.
La passione è un labile ricordo nella memoria di Enrico Gnei, protagonista de “L’avventura di un impiegato”, pulsione alla quale inutilmente si aggrappa, nel tentativo di fuggire l’ordinarietà e l’apatia. È poi attesa da un viaggiatore, vissuta con indifferenza e distacco da un lettore, guardata con smarrimento da un poeta che ha perso le parole, diventa quasi mito ossessivo per un fotografo, nelle loro rispettive storie.
Nemmeno l’amore coniugale, ne “L’avventura tra due sposi”, è destinato a essere consumato pienamente, vissuto nella mancanza e condannato a essere discontinuo, frammentario, diluito in un cinico gioco di combinazioni impossibili, che impedisce a marito e moglie di incontrarsi, se non in minuti ridotti a brandelli, tra un turno di lavoro e l’altro.
E così, Calvino orchestra abilmente questo susseguirsi di personaggi, nei racconti brevi come fiammate, così come in quelli più lunghi della silloge conclusiva, ci offre un ricco carnet di tipi, di uomini e donne comuni, tutti alle prese con il loro personale “amore difficile”, tutti rappresentati nelle nevrosi, nelle irrequietezze di pensiero e nei desideri, nel caos esistenziale, nel guazzabuglio dei sentimenti, nel grigiore e nel tedio.
Sabrina Di Martino
Catanese (giarrese) di nascita, bolognese di adozione. Dopo aver conseguito la laurea in Lettere Moderne, studia Italianistica nell’antico ateneo emiliano.
Da sempre appassionata di lettura e scrittura, ha collaborato con diversi blog, legati principalmente al mondo del cinema e delle serie televisive.
Ha frequentato la scuola Aleph, a cura della Villaggio Maori Edizioni di Catania, con l’intento di conoscere il più possibile tutte le sfaccettature della scrittura, alimentando un rapporto già profondo e viscerale. Scrivere è infatti un imperativo categorico e imprescindibile, un’ambizione, un sogno.