Elena Mearini
I passi di mia madre
Morellini
Le recensioni in LIBRIrtà
A cura di Gianfranco Cefalì
Ecco i suoi passi, come sogno, reali dinanzi uno specchio. Quello del mare, con rughe profonde parallele e occhi che scrutano un orizzonte impossibile da definire, lontano e inconsistente. Sulla battigia le orme che segui, nella difficoltà di tracciare un percorso eroso dai marosi che si infrangono cancellando il sentiero che nessuno ha segnato per te. Orme che identifichi come femminili, come solo la certezza di Morfeo può dare e che sono le uniche che vuoi seguire e perseguire. E lo specchio/mare si prosciuga creando un cratere,
l’assenza si fa presenza ossessiva del vuoto. Insegui una figura, tu vestita arcobaleno fiorito, l’altra spettro reale fantasma di tutta una vita. E continui a vederla riflessa ovunque, una frazione di cielo, un’onda del mare, uno specchio sporco, un vetro rotto. Il riflesso non parla, restituisce corpo, restituisce uno strumento scordato, chi si fa spazio e accoglienza, volume e peso seguendo i capricci che da infantili divengono problemi repressi, esternati violenti dinanzi alla prospettiva di quel vuoto che non si riesce in alcun modo a colmare.
Il corpo è tramite di tutto, è un collegamento tra figure, tra presenze assenti e lontane, bugiarde, che durano una manciata di ore e restano solo sullo schermo illuminato in maniera compulsiva da mani che ricercano in modo costante qualcosa da trattenere. È anche presenza occasionale che si sfoga e si diverte e che accoglie inconsapevole una verità che non si trova e si sbilancia ancora una volta da quel grande senso di vuoto che risucchia energia e volontà. È ricerca di un passato bianco chiazzato di tutte le sfumature del dolore, adolescenziale prima, maturo nell’inseguire una stessa via attraverso il corpo proprio e degli altri.
Questo libro è un viaggio, un lungo percorso su due binari, uno che come detto si fa corpo e l’altro indissolubile è anima, le due strade sembrano procedere parallele nella ricerca di una figura, una mancanza e scava l’assenza in profondità come se fosse possibile nel vuoto ritrovare un pieno che manca. I due percorsi in prima istanza possono mostrarsi divergenti, poi si avvicineranno fino a collimare in realtà. La protagonista gestirà la ricerca della madre attraverso gli occhi delle ipotesi, lo farà fisicamente nella sua vita, fatta di incontri e spostamenti e lo farà con la mente e il cuore ogni volta che la forza dell’assenza si farà sentire. Lo farà ipotizzando una vita che non è presente oramai da tanto tempo, nei ritagli di una vita che fisserà attraverso le parole, il corpo delle parole, la fisicità virtuale delle mani sulla tastiera del computer, della scrittura. Azione che troverà sfogo nei momenti di reale necessità, quando il buio cerca di inghiottire la protagonista, ecco che lei si fermerà, che sia casa sua, una stanza d’albergo, un tavolino ripiegato in treno davanti un’apertura che riflette solo il suo riflesso in quello della madre. Un’idea, un’ipotesi che da semplice palliativo si trasformerà concreta nella possibilità alla fine di un lungo viaggio e una scalinata in pietra sconnessa e consumata che le restituirà un’immagine diversa e un po’ di pace.
Questa storia, questi personaggi, persone, lasciano un alone di tristezza nonostante la parziale risoluzione finale, rimane quel groppo in gola che una difficile deglutizione porterà nello stomaco, ma si ripresenterà sempre con gradazioni e consistenze diverse nel corso del tempo.
E come quando si entra a casa dei propri genitori chiusa da tempo, si apre una luce sui ricordi e si respira l’odore di chiuso della vita passata o anelata, si è convinti di poter dare una nuova vita a quella casa e a tutti quegli oggetti, la polvere è alta due dita e toglierla per far ritornare tutto a risplendere è impossibile, si aprono le finestre e la nuova aria anche se piena di consapevolezza non potrà mai restituire il tempo perso, solo l’illusione di una pacificazione o comunque la speranza di esserci riusciti, perché il tentativo è stato fatto e alcune cose hanno trovato spiegazione in quel vortice che per molto tempo è stata la vita. La nuvola di polvere si alzerà sotto le mani e in controluce creerà ricordi e quando finalmente la casa risulterà di nuovo pulita si potrà ricominciare a vivere.
La scrittura dell’autrice è molto ispirata, a me ha ricordato gli elementi della natura, fuoco, terra, aria, acqua. Ognuno di questi elementi è ben impresso nelle parole di Elena Mearini, che risultano omogenee e allo stesso tempo spontanee, mai forzate, e ben inserite nella storia. Una scrittura intensa. Meteoropatica è un’altra parola che mi è subito venuta in mente, la scrittura è influenzata dalle perturbazioni umorali della protagonista, mai fuori luogo e funzionale ai vari momenti della storia. Sa essere chiara come una giornata primaverile, calda come una notte di fuoco d’estate, brutale come un temporale d’inverno, gelida nell’inverno dell’anima, poetica come il raggio di sole tra le mille nubi di una tempesta.
L'autrice
Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Ha pubblicato una raccolta di poesia per Liberaria editore, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia per Excelsior 1881, e poi ha pubblicato A testa in giù, Morellini Editore, Bianca da morire, per Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello, ed È stato breve il nostro lungo viaggio, Cairo Editore, selezionato per lo Strega nel 2018 e finalista al Premio Scerbanenco. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore, Felice all’infinito. Nel 2020 ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei per Morellini, ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre (2018) e Lettere al padre (2019), sempre per Morellini, a cura di Anna di Cagno. (fonte morellinieditore.it)
Il libro
Titolo: I passi di mia madre
Editore: Morellini
Pagg.: 160
Prezzo: € 15,90