L’AVVENTO DEI CAMPI ELISI
A cura di Paolo Pera
La nuova opera di Loris Maria Marchetti, Le incognite dell’anima (puntoacapo Editrice, 2020), è essenzialmente il salvataggio d’una serie di poesie storiche nella produzione del Nostro, con un’appendice (colma di nuove riflessioni) intitolata Perdono. Questa prende per lo più l’aspetto d’un dialogo con (o su) Dio: … e tu perdona a me / perché so quel che faccio / e non posso, o non so, / non farlo. Come ebbe a confessarmi lo stesso Marchetti, gran parte della sua opera è dedicata alla ricerca (agnostica) del divino: v’è infatti una dispiegata percezione dell’Altissimo, come pure la smania di conoscerlo appieno, di vederlo… Marchetti, nei panni d’un condannato a morte, chiede questo come ultimo desiderio: «Un colloquio, anche breve, con Lui. / Ma qui».
Il poeta pensa Dio, ma ne vuole essere certo: reclama la garanzia dell’Aldilà! La fede non basta, della promessa fattaci Dio deve essere notaio oltreché contraente… Come notò anche Mario Marchisio (nel suo saggio critico su questo poeta ne La difficile amicizia delle parole, Achille e La Tartaruga Edizioni, 2019), che qui ha scritto la postfazione, le nuvole hanno un ampio spazio simbolico nell’opera di Marchetti; nella poesia Domenica delle palme leggiamo: Dietro una fitta nuvolaglia impermeabile / si può fissare il sole, anche a lungo, / senza esserne acciecati. Non è il massimo / ma è già qualcosa […], parrebbe quasi che il sole in questa circostanza sia il Dio che vogliamo conoscere (seppur ciò ci sia precluso, almeno in terra…) e che le nuvole siano altresì l’impossibilità alla chiarezza assoluta, o forse i blocchi che l’uomo si pone verso quest’ultima? Col Dio v’è una sorta di amabile lotta, che sa d’illusoria eternità terrena: Quel che non vuole darmi / continuo a chiederlo con insistenza / e ciò che vorrebbe gli chiedessi / continuo a ignorarlo puntualmente; l’uomo dunque si voterà al dettame sommo solo nell’ora decisiva, fino ad allora il libero arbitrio gli concede ogni dubbio e ogni trasgressione (purché contenuta). Tornando al primo componimento dell’ultima sezione leggiamo questo: Gli ha predetto l’oracolo / l’ospitalità nei Campi Elisi / al compimento dei novantatré. / / Ma crede che ben prima / l’anima sua sprofonderà / nel Tartaro. […]; ho deciso di intitolare questa recensione – dedicata tra l’altro a un poeta verso il quale nutro una forte simpatia – «L’avvento dei Campi Elisi» per rendere ancor più esplicito quanto l’avvicinarsi – con l’età – di questi ultimi amplifichi la sempre presente riflessione sulla morte (intesa come passaggio all’Oltrevita) di Marchetti, insomma – seppur questo poeta sia destinato al posto degli eroi, della poesia almeno – le sue incertezze, la sua dubitanza (divenuta religione), lo condannano perfidamente alle tenebre… è forse per questo che Marchetti sente di dover chiedere perdono?
Qui, per concludere, si inserisce eccellentemente il postfatore: «Il cielo, la forma delle nubi, i mutamenti della luce introducono infatti il lettore a quel che ribolle in basso, nel grande caos del consorzio umano e nel piccolo caos di ogni anima, le cui “incognite”, sembra dirci il poeta, sono sempre troppe, e troppo ambigue, per potersi illudere di sviscerarle».