A cura di Letizia Cuzzola
“Noi però gli abbiamo fatto le strade” di Francesco Filippi (Bollati Boringhieri, 2021) è ancora fresco di stampa, scotta anche perché il tema trattato non è dei più semplici.
Tutti, a scuola, abbiamo studiato questa parte di Storia fra Ottocento e Novecento e successivamente nel periodo fascista ma nessuno sembra ricordarsene. L’impresa coloniale italiana è scivolata nell’oblio come la polvere sotto il tappeto e se qualche parola esce fuori, quasi certamente, sarà la frase: Noi però gli abbiamo fatto le strade, come un vessillo di cui andar fieri ma che, in realtà, riduce ottant’anni di fallimenti, massacri, razzismo e quant’altro di nefando possa esserci in queste sette parole.
La storia coloniale italiana inizia ne 1882 con l’acquisizione da parte dello Stato italiano dei diritti sulla baia di Assab per salvare la convenzione coi sultani di Assab stipulata nel 1869 dalla compagnia di navigazione Rubattino di Genova. Chi se lo ricordava per averlo studiato? Nessuno. E questa è la prima. Insomma, l’Italia avvia la sua colonizzazione dell’Africa quasi per botta di culo più che per convinzione. Ma sono i decenni in cui le grandi potenze europee fanno i conti con i territori colonizzati, noi ci stiamo arrivando tardi ma questa appare come l’unica via per acquisire prestigio e potersi sentire grandi.
Ci siamo messi a fare un mestiere di cui non avevamo idea, dicendo che saremmo migliorati e che era giusto che ci mettessimo all’opera per portare la ‘civiltà’ in luoghi di cui avevamo più coscienza letteraria che geografica. Vaste lande in cui far migrare le nostre masse contadine piegate dalla povertà piuttosto che lasciarle andare con le loro valige di cartone verso l’America che, comunque, restava sempre la meta preferita. Non ne abbiamo azzeccata una e a nulla è valsa la campagna mediatica per dimostrare che non stavamo andando a rubare niente a nessuno: la popolazione africana è considerata al pari della fauna e della flora locale tanto che, nel 1911, anche Torino vanterà il suo «zoo umano» in cui saranno riprodotti i villaggi conquistati con tanto di figuranti in carne e ossa. Tanto che non saranno sottoposte a censura neanche le immagini delle donne a seno nudo nei territori conquistati: considerate esseri inferiori non dovranno sottostare alle stesse norme che, nella madrepatria, vigono sul pudore o la morale. Le donne, le bambine rientrano nei bottini di guerra, nei souvenir da riportarsi a casa al pari di un soprammobile in legno. Interi popoli considerati oggetti da depredare come in un megastore pensando ai regali di Natale.
Alle mire italiane non sfuggono l’Etiopia, l’Eritrea, La Somalia, la Cina (un minuto di silenzio e andate ad approfondire anche questa mirabolante impresa) e la Libia, quest’ultima per la sua posizione geografica viene assoggettata per la sua vicinanza al territorio italiano, nel 1939 diverrà la diciassettesima regione italiana, quasi una dependance, un villaggio vacanze. Solo che il conto per il soggiorno Gheddafi ce l’ha presentato nel 1970 e in tempi più recenti. Come il conto con la Somalia lo abbiamo pagato con l’operazione Restore Hope, nel 1992, quando ormai sembrava storia lontana, chiusa con la dichiarazione d’indipendenza somala del 1960. Su quest’ultima questione vi invito ad approfondire le testimonianze dei soldati italiani di ritorno dalla missione, sacchetto per il vomito alla mano.
Le strade. È vero, Mussolini era entusiasta di aver rimaneggiato le antiche vie romane come quei governanti che esultavano per ogni metro in più della Salerno Reggio Calabria che si riusciva a inaugurare… il fatto che resistano ancora alcune infrastrutture in quelle zone dimostra solo che abbiamo sempre avuto buoni ingegneri, anche perché di altro è sempre stato vietato parlare. L’amnesia è tale che a ogni sbarco di clandestini ci si chiede perché vengano in Italia (in geografia continuiamo ancora ad avere problemi seri), si glissa sul fatto che siamo stati e siamo un popolo di emigranti e che di conti aperti ovunque siamo stati ne abbiamo sempre lasciati.
Iniziamo a non aver paura ad affrontare testi come questo che magari passano in sordina ma che costringono a serie riflessioni ed esami di coscienza.
L'autore
Storico della mentalità e formatore, è presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Deina, che organizza viaggi di memoria e percorsi formativi in collaborazione con scuole, istituti storici e università in tutta Italia. Ha collaborato alla stesura di manuali e percorsi educativi sui temi del rapporto tra memoria e presente. Tra le sue ultime pubblicazioni Appunti di Antimafia. Breve storia delle azioni della ‘Ndrangheta e di coloro che l’hanno contrastata (con Dominella Trunfio, 2017), Il Litorale Austriaco tra Otto e Novecento. Quanti e quali confini?, in Piacenza, Trieste, Sarajevo, un viaggio della Memoria (a cura di Carla Antonini, 2018), Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri, 2019) e Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto (Bollati Boringhieri, 2020).
Il libro
Titolo: Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie
Editore: Bollati Boringhieri
Pagg: 208
Prezzo: € 12,00
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