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È "Cadaveri squisiti" (Re Artù Edizioni) di Valeria Biuso il Consiglibro Giugno 2024

31/05/2024 23:06

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È "Cadaveri squisiti" (Re Artù Edizioni) di Valeria Biuso il Consiglibro Giugno 2024

#Consiglibro Giugno 2024 - Le interviste su Paesi Etnei Oggi

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Valeria Biuso

 

Cadaveri squisiti

 

Re Artù 

 

Le interviste

#ConsigLIBRO Giugno 2024


A cura di Salvatore Massimo Fazio (su Paesi Etnei Oggi n. 313 - 2024)

 

Dall'America di “Anche la morte ascolta il jazz” (Ianieri, 2017) alla Sicilia di “Cadaveri squisiti” (Re Artù, pp. 147, € 13,00), uscito qualche settimana fa, il passo non è stato breve, tant’è che per l’approdo al transgressive fiction, genere non mol- to conosciuto in Italia, Valeria Biuso, etnea purosangue di adozione toscana per motivi di lavoro o per quello che vuole lei, ha impegnato sette anni. Incontrarla non è stato difficile, perché accettata la nostra richiesta di intervi- sta, decidiamo di vederci a Sant’Agata Li Battiati e con stupore la simpaticis- sima Valeria insorge comunicandoci che: «Io abito lì... quando torno in Sicilia e in questi giorni torno!». La incontriamo incalzando subito sulla motivazione nel descrivere il suo romanzo come catanese, anzi catane- sissimo. C’è un motivo dietro questo cambio di ambientazione? «Assolutamente. “Cadaveri squisiti” è un romanzo di transgressive fiction, un genere che tipicamente prende vita nelle grandi metropoli americane o europee. Il mio obiettivo era quello di fondere i suoi codici, stilemi e paradig- mi con la realtà italiana, ma soprattut- to catanese. È facile fare i trasgressivi a Parigi, per le vie di Montmartre, tra bicchieri di assenzio in fiamme e l’eco di una decadenza mai assopita. Più difficile farlo a Catania, coi fumi dei carciofi arrustuti all’angolo e i ragazzetti in tuta acetata e capelli ossigenati che ti mettono sotto col motorino. Spesso chi racconta la nostra isola lo fa in due modi: da un lato la Sicilia verista, atroce e netta, fatta di credenze antiche e sillogismi inevitabili; dall’altro una Sicilia più moderna, sì, ma sempre costretta a districarsi tra giustizia, mafia e omertà. Insomma, mi ero rotta di questa rappresentazio- ne rigida e codificata, così ho provato a guardare oltre, puntando a tinte più weird e disturbanti. Mi sono chiesta: “E se Patrick Bateman fosse catanese?”» A proposito di Patrick Bateman, quali sono gli autori che ti ispirano maggiormente? «Innanzitutto, Bret Easton Ellis, ça va sans dire, poi Chuck Palahniuk, Georges Bataille, Hubert Selby Jr, Virginie Despentes, William Burroughs. Sono autori che non hanno paura a sguaz- zare nel torbido, a inzaccherarsi di brutture e marciume fino ai gomiti. Anzi, sembrano dire al lettore: “L’essere umano fa schifo, prima lo accetti meglio è per tutti”». Torniamo al romanzo: il titolo ha un significato particolare? «Il titolo ha poco di lecteriano come potrebbe

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sembrare. È in realtà un rimando a un gioco inventato dai surrealisti agli inizi del ‘900 che consisteva nello scrivere su un foglietto una frase, piegarlo e passarlo agli altri partecipanti che avrebbero poi aggiunto un’altra frase senza conoscere il contributo precedente. Il gioco proce- deva così finché quelli che ne uscivano non erano dei “cadaveri squisiti”, delle creazioni disturbanti e allucinate. Il procedimento del gioco ricalca quello del protagonista nei confronti della vita, del reale. Sebastiano, il protagonista, con non poca arroganza, fa una partita di “Cadaveri squisiti” col reale senza neanche conoscere le regole. Dà in pasto al mondo abbozzi di sé, costrutti, sperando di ricevere indietro una narrazione, cioè un’esistenza – la sua –, organica e coerente. Ma, prima cosa, al reale non importa conoscere

i suoi costrutti, se ne sbatte; seconda, non sa neanche cos’ha scritto lui su quel foglietto, non potrebbe, il gioco non funziona così. Perciò, il reale fa l’unica cosa possibile, ossia rispondere con la realtà». Quali sono i temi del romanzo? «Il nucleo del romanzo ruota attorno allo scisma tra individuo e società, al rifiuto di aderire a norme e canoni sociali. Questa sovversione trascina con sé tutta una serie di imperativi: alienazione, disagio fisico e psichico, nonché la costante necessità di silenziare il reale stordendosi con tutte le forme possibili di annientamento. 

Alla radice si trova una frammentazione identitaria, un io confuso e mutevole, incapace di sopravvivere al di fuori di una maschera. È la finzione a conferire consistenza a un’identità altrimenti vuota. Senza maschere, senza costrutti, l’io si sfalderebbe, costretto sotto il peso di un caos troppo rarefatto per essere imbrigliato. Ecco perché l’identità di Sebastiano è passiva e si lascia definire dallo sguardo altrui. Le percezioni che gli altri hanno di lui diventano la sua bussola, orientandolo verso un determinato comportamento o un altro. A un certo punto del romanzo si chiede in preda al panico: “Come faccio a sapere se sono reale se nessuno mi sta guardando?” ed è proprio questa incertezza a delimitare i contorni di una realtà ontologica logora, fallata. Non riesce a discernere un affetto sincero da un capriccio perché è patologicamente estraneo alla sincerità. Vorrebbe, ma non può. In questa negazione si consuma il grande dramma della sua esistenza: una tensione verso un ignoto inscalfibile». 

 

A chi consiglierebbe il suo romanzo? «A chi interessa sondare le pieghe più torbide dell’animo umano senza riser- ve e senza timore di sporcarsi»


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