Antonio Emanuele Aiello - Le sopravvissute ai nostri occhi - Scatole Parlanti
L’autore si racconta - Le interviste
Un girovago, viandante, putto, attore, musico, scrittore, scala pareti, fittizie montagne, fake in un dipinto del tardo 500 (lo ha trovato il discografico Peppe Schillaci). Una specie di tout-court della scena. Il 4 marzo anno del Signore 2018, nelle librerie il suo nuovo libro Le sopravvissute ai nostri occhi, Scatole parlanti edizioni (che poco non è). Siccome ovunque lo intervistano, noi di Letto, riletto, recensito! gli abbiamo chiesto di raccontarsi. SIGNORE E SIGNORI ANTONIO AIELLO!Com’è difficile raccontarsi. Cercherò di procedere il più linearmente possibile.Sono Antonio Emanuele Aiello. Sono nato a Catania il 24 novembre del 1983. Sono quasi 35 anni che vivo ed ancora non c’ho fatto l’abitudine. Non saprei descrivermi ma preferisco definirmi un curioso. Fortunato.Laureato in odontoiatria e protesi dentaria a Catania da più di dieci anni ormai alterno la professione ambulatoriale alle passioni che mi perseguitano ed accompagnano da parecchi anni. Suono il contrabbasso, scrivo, faccio teatro, mi dedico alla danza, pratico l’arrampicata sportiva, ho la fortuna di collaborare con delle scuole di fotografia e con fotografi come fotomodello, anche se il dire di esserlo mi fa sempre sorridere.L’arte non so dire cos’è per me ma so che non mi basta, mai; più che amore la definirei un’esigenza. Bulimia e continua fagocitosi per metabolizzare ed assimilare il più possibile.Ho iniziato a scrivere per esigenza, in adolescenza. Scrivevo poesie. Come tanti ragazzi ho iniziato con le poesie d’amore. Forse ero un po’ sfigato o semplicemente avevo voglia di sfogarmi prendendo in mano una penna. Ad un tratto l’amore non mi "bastava" più ed ho iniziato a scrivere poesie oniriche e surreali (non inventando nulla di nuovo, lo so) con una struttura classica, a volte fin troppo rigida, formale: sonetti, odi saffiche... Scrivevo di incubi, di visceralità, del mio passato.Passai alla prosa spinto dall’entusiasmo e l’amore per i romanzi russi, dalla voglia di mettermi in gioco con qualcosa che fosse più organico dei singoli componimenti poetici (in questo debbo molto all’incoraggiamento di amici, come il mio mentore Salvatore Massimo Fazio) e dopo qualche anno, dopo aver realizzato qualche racconto, mi cimentai con un piccolo romanzo: Confessioni di una pop-mosca.Ci presi gusto e scrissi e poi ancora e poi ancora.La maggior parte dei miei componimenti nascono e/o si sviluppano principalmente al di fuori dalla Sicilia. Credo che il viaggiare parecchio influenzi il mio stile di scrittura almeno tanto quanto mi influenzi il mio passato.Sicuramente il mio amore/odio per la musica hanno un’influenza essenziale sulla scrittura così come mi sono reso conto che inevitabilmente anche il linguaggio scentifico, appreso dalla professione medica ad oggi mi appartiene come la pelle che indosso.Scrissi "Succo di catus gelatinizzato" dalle chiare influenze splatter. Sono un amante del genere body horror che tanto successo ha riscosso al cinema con Croenemberg ma non solo; "L’astronave atomica del Dottor Quatermass" viene accreditato come il primo film di questo genere e da questo film prende spunto il titolo del libro. Mutazioni fisiche, malattie deturpanti, mutilazioni; questi elementi vengono combinati con altri propri dell’horror psicologico, per cui la deformità del corpo si accompagna alla degenerazione mentale dell’essere umano.Sono instabile e mi distraggo facilmente e questo si ripercuote sul mio stile di vita oltre che sul mio stile di scrittura che si manifesta alle volte frammentario e come mi è stato fatto notare di recente, tutto ciò è come se sia volto a valorizzare i dettagli e renderli protagonisti essi stessi.Adesso sta per uscire, il 4 marzo 2018, il mio romanzo "Le sopravvissute ai nostri occhi". Questo romanzo è nato duarante il mio viaggio in treno da mosca alla mongolia. Stavo leggendo Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Mi ha seguito questo parto tra Seul, Rio de Janeiro e Parigi, mia seconda casa. Questo libro, provocando, mi piace definirlo di formazione; mi ricorda una rilettura in chiave surreale e sadiana di Piccole donne; strizzando l’occhio a, Joyce, Poe e alla filosofia del boudoir di De Sade.Continuo a scrivere e continuerò ancora. Un’esigenza, come quella di leggere e di respirare.