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Per #LibriOff "Sette poemetti" di Franca Alaimo

12/01/2023 00:01

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Per #LibriOff "Sette poemetti" di Franca Alaimo

Le recensioni di #LibriOff - A cura di Ornella Mallo

Terzo appuntamento con la partnership di Radio Off. Per la rubrica Libri Off, vi proponiamo la recensione che Ornella Mallo ha fatto ai “Sett poemetti” di Franca Alaimo


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A cura di Ornella Mallo

 

Scriveva Paul Klee che «L’arte non deve riprodurre il visibile, ma renderlo visibile. » E Gilles Deleuze, nella “Logica della sensazione”, commentava questa asserzione sottolineando come « Nell’arte, in pittura come in musica, non si tratta di riprodurre o di inventare delle forme, bensì di captare delle forze. È per questa ragione che nessuna arte è figurativa. » Il riferimento a Klee, e a Deleuze che lo commenta, non è casuale. È la stessa Franca Alaimo, nel poemetto “Tutto accadrà di nuovo”, a citarne l’”Angelus novus” nei versi: « Vento vuoto, voce vuota, vortice vuoto. / Come l’angelo di Klee / non riesce a guardare che il passato: / rovine su rovine. / Così, così lo sguardo, così spaventato. / Le ali impigliate nel futuro, / il luogo della tempesta, / volto del Paradiso immanifesto, / aspettando sulle rive purissime del tempo / come di nuovo si fa a percorrere il viaggio / dalle stelle fino ai gelsomini. » Nei “Sette poemetti” la voce della poetessa si srotola come un “nastro leggero” che allaccia la realtà visibile a quella invisibile, l’immondo al sublime, compiendo un’analisi accurata della natura umana e dell’Universo in cui l’uomo vive, il tutto esaminato nella sua materialità e nella sua trascendenza, ossia come proiezione di un Dio immanente in tutte le cose. Solo in apparenza la poesia di Franca Alaimo è immaginifica e visionaria. In realtà, l’Autrice si serve di immagini oniriche, che si dipanano una dietro l’altra come in una vera e propria scrittura automatica, allo scopo di “rendere visibile il visibile”, ossia per dare corpo e risalto alla realtà nuda e cruda, senza risparmiarne gli aspetti efferati e crudeli. Per questa ragione, leggendo i poemetti della prima parte e i “Frammenti” che compongono la seconda sezione, si ha la sensazione di compiere un volo, sollevati dalla poetessa e dagli angeli che la ispirano e la accompagnano in questo percorso: e si vola dall’amore “liscio come un ciottolo / levigato dal liquido amniotico”, che la vita genera, alla violenza brutale che la vita stronca, perpetrata in modo disumano dall’uomo: « a un bimbo che guizzava fuori dell’acqua / come un pesciolino d’argento, / tutto scaglie di terrore lacrimante, / Calley, il tenente, colpì esattamente / la testa: “soltanto per esercitare la mira” – disse. » ; dall’immagine del “fiore purpureo tra le gambe”, che “fiotta desideri”, alla “ canna di un M16 / infilata nella vagina” di una ragazza violentata da un soldato americano durante la guerra del Vietnam: “e così andò in frantumi la stanza fertile / che cullava le prime settimane di un bambino.”; dal brillio delle stelle “ormai spente”, che ci insegnano che “la morte abita altrove e non muore”, ai corpi dei tre giovani suicidi cui l’autrice dedica il poemetto “Il vuoto è pieno”, che si sono “spinti all’altra riva” inseguendo “un immenso sogno, / un abbandono dei confini.” Ma “I loro cuori fragili fioriscono / lungo i bordi della via Lattea, / le loro voci sussurrano / come api che ronzano / fecondando la memoria, / come il mare dentro le conchiglie.” In un manoscritto anonimo conservato alla Biblioteca Nacional leggiamo: “Quando gli uomini non ascoltano il grido della ragione, tutto muta in visione.” E di visione in visione, Franca Alaimo racconta la vita, a cui comunque invita ad essere fedeli, perché per essa persiste una “vocazione”, “nonostante gli ​smottamenti fra le varie età, / che sorridono dalle foto / senza nessuna colpa d’essere ogni volta / qualcosa d’altro”: “O corpo che eri vivo, sorridimi. / Parlami, quando cammino.”, conclude la poetessa, lasciando intravedere “il frutteto bellissimo, / il cielo aperto e vivace / da dove gli dei mi guardavano / con occhi vegetali”, che si stende oltre la “porta dischiusa” dietro cui si arresta la poetessa. Pur ferma “sull’orlo di un precipizio”, Franca Alaimo capta la “Voce dell’Universo”, e di essa scrive che “è una fiamma accesa / dall’autocombustione del tempo”: tempo dal cui “segreto / oscuro e doloroso, quasi disumano”, vorrebbe salvare le cose attraverso la scrittura, la cui funzione è quella di eternarle: “scrivo per ricordare, / ricordo per non sparire, / per farmi nido in bilico sul ramo”. Se quindi scrivere è catartico, il ruolo della parola nella vita della poetessa è centrale: l’Autrice non nasconde la sua ricerca ossessiva di una parola che traduca l’inesprimibile che è in lei. “C’è una cosa che non posso comunicare a nessuno. Essa mi consuma giorno dopo giorno, sistematicamente. Ho le mani vuote”. Anela a un linguaggio che permetta al lettore di “vedere il visibile”, per dirla con Klee, dato che l’immanenza rende l’oltre visibile in tutte le cose. “Chi legge come capirà ciò che legge?”, si chiede, “parole mie bugiarde che mai dite ciò che intendo dire”. Nei “Frammenti”, che racchiudono tantissime riflessioni in prosa poetica sul senso della vita, sulla bellezza, sulla scrittura, sulla poesia, sul sogno, sul destino, sulla memoria, leggiamo: “La mia disperazione: la parola si ingegna di penetrare in un luogo così profondo e insieme così alto, così oscuro e insieme così luminoso che più sostanza trae alla luce, più riconosce impossibile il suo esaurirsi”; e anche: “Nostalgia del cadere o del volare in alto, volendo entrambi la totalità. Sprofondando nell’oscuro di sé stessi, trovare la luce originaria.” E così Franca Alaimo vorrebbe “Creare un verso solo. Così bello da bastare a tutte le domande”. La parola si fa portatrice di visioni che attinge dalla natura, ritratta in tutta la sua bellezza: dalle nuvole “che si sfaldano nel cielo” e che “possono raccontare il grande salto”, alla luna che come un’ ”ostia” “si scioglie sulla lingua del sole.” È anche latrice dell’affannosa ricerca che l’uomo compie di un luogo in cui “ogni cosa e il suo contrario” possano “in armonia chetarsi”; di una bellezza cui è impossibile approdare, le cui “epifanie” sgomentano. Nello scrivere Franca Alaimo trova non soltanto lo strumento che la aiuta a trovare risposte alle sue domande, ma anche un veicolo che conduce le donne tutte verso la libertà: sulla condizione femminile la poetessa compie le sue amare considerazioni, mettendo in risalto come la donna sia costretta dalla società a essere “un animale muto”, e questo le afferisce un profondo dolore. La scrittura allora può essere di aiuto risollevando le donne dall’assoggettamento atavico cui sono state condannate; per cui leggiamo: “scrivere significa essere donne / assolutamente libere, / con la bocca piena di luce, / con tanti fiori che bucano l’oscurità / coprendo la ferita.” Qual è dunque il messaggio che risuona al termine della lettura dei “Sette poemetti”, al di là di tutte le domande esistenziali che la poetessa rivolge agli angeli che come guardiani la accudiscono nel suo cammino, o alla sua anima, o​ alla donna che si chiede quale sorte avrebbe avuto se avesse imboccato altre strade, o alle immagini di sé, moltiplicate all’infinito, che riflettono gli specchi in cui si guarda? Quello dell’infinità della vita e della sua stupefacente bellezza: “Ogni rosa ripete l’eterno stupore della vita. Nessuna sarà mai eguale all’altra sfiorita, né a quella che verrà. Ogni rosa cerca l’assoluto nel Nome. È nel per sempre – come scrive Bonnefoy – dell’effimero fiore che la Rosa nasce e mai morirà.”