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La letteratura non c’è più

18/04/2021 01:01

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La letteratura non c’è più

L'editoriale - La letteratura non c'è più di Letizia Cuzzola

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L'editoriale

 

 

 

La letteratura non c'è più

 

 

 

di Letizia Cuzzola


   - Fidarsi è bene, non fidanzarsi è meglio.

   - Eh ma Lei è pure passato al livello successivo: si è sposato.

   - Signorina, ho 84 anni e di Lei leggo ogni articolo e mi ricordo. Se li mangia i libri, pure i miei se li è mangiati.

   - Sì…

  - Qualche anno fa abbiamo presenziato insieme a qualche cerimonia… quelle cose dove gli estranei sono contenti per te e la tua famiglia se ne frega, presenzia solo per evitare rinfacci a casa. C’è una giornalista che sta scrivendo la mia biografia…

   -…

  - Sessant’anni fa ero nell’esercito, a Bolzano e mi ero fidanzato. Poi i miei genitori mi hanno trovato lavoro e fidanzata qui e l’ho lasciata. Ci scriviamo ancora e mia moglie è gelosa. Ci mandiamo cartoline, lettere… mi salvo perché mia moglie non lo sa che io ogni tanto me ne salgo in soffitta e me le rileggo, mi guardo anche le foto. Ora c’è un tarlo, qualcosa che si sta mangiando i libri, ma non mi importa… i libri se c’è chi li ha letti restano, ma le foto… quelle le devo salvare. Sono sessant’anni che guardo le foto e piango perché non ho lottato, perché ho obbedito ai miei genitori, perché ho fatto quello che era giusto per loro ma non per me.

   - Davvero vi scrivete ancora? 

   - Sì sì e le aspetto quelle lettere come il primo giorno. Hanno sempre lo stesso profumo, sa? E io torno indietro e mi mangerei le mani per non aver fatto abbastanza, per aver rinunciato a lei per assecondare quella che pensavo fosse la cosa giusta da fare. Non gliele ho dette queste cose alla giornalista.

   - E perché a me sì?

  - Perché Lei le parole le volta dal dritto e dal rovescio, lo sta capendo quello che le voglio dire: è giovane, bella e intelligente. Lotti e non pensi a niente e le foto se le scatti con chi ama e non fototessera per avere domani un ricordo e un rimorso.

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  Sono due occhi verdissimi che mi raccontano questa storia, sul ciglio della strada mentre attendo. E quell’amore lo leggo fra le rughe che diventano pagine di una vita che supera la letteratura. I suoi libri li ho divorati: ironici, corrosivi al limite del cinismo. Ora ho davanti l’uomo, il padre, il marito che, come un contabile, tira le somme. 

Lo ascolto e mi chiedo come si possa passare una vita con un rimorso tale verso se stessi, ché un conto è la frustrazione di un lavoro che non soddisfa, un conto è avere metà del cuore su una poltrona comoda e l’altra metà sul bordo di un precipizio ma con la felicità per paracadute.

    A distanza di poche ore chiamo Ettore, i cui scritti sono spesso stati un balsamo quando sul bordo del precipizio e senza paracadute mi ci trovavo io. C’è un punto della vita in cui si arriva al collo della bottiglia. Mi dice così. C’è un momento in cui sei costretto a scegliere fra il rettilineo che ti fa andare in automatico senza scossoni, nella certezza della comfort zone delle similitudini, del già conosciuto e dell’abitudine, e il coraggio, che spesso non si ha, di uscire dalla bottiglia e affrontare nuovi paesaggi. È quell’età in cui ti rendi conto che le scelte fatte saranno definitive e il prezzo del rischio è altissimo e, se poco poco sei incrinato, basta un sentimento caldo a mandarti in frantumi come cristallo. Come se la vita non facesse di noi ciò che vuole. Come se l’amore a volte non fosse soltanto una non solitudine, uno strumento per non restare soli con se stessi.   

   Forse “E vissero felici e contenti” è un errore di traduzione, mi ripropongo di andare a verificare pensando che qualcuno si sia scordato due sillabe e andasse scritto “accontentàti”. Accontentarsi. Ritenersi contento, soddisfatto. L’ho sempre letto nell’accezione negativa del farsi bastare il poco senza altre aspirazioni, quasi contrario del coraggio. Chi si accontenta non gode. Maledico la letteratura che ha semplificato, mercificato le soluzioni e illuso. Maledico i manuali di psicologia che parlano di narcisismo e dolore. Non dovremmo più chiamarla Letteratura ma Paroleggiatura ché arrivi al collo della bottiglia e non hai il coraggio di scegliere di lanciarti col paracadute. Dovremmo boicottare le biografie romanzate e i romanzi con parole rimaneggiate quando si ha più nulla da dire; scappare a gambe levate dagli aforisti e dagli scartatori compulsivi di Baci Perugina. Dovremmo strappare le pagine come gli scontrini dimenticati sul fondo delle borse; non leggere altro oltre i libri scolastici e camminare. Sì, dovremmo camminare per incontrarci prima di guardarci allo specchio, per evitare di vedere sul fondo due occhi che ci osservano ma che non sono quelli che vorremmo vederci scrutare e sorridere mentre pensiamo: “Sì, ho scelto la vita. Non mi sono accontentato”. La letteratura non c’è più.