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Per #LibriOff "La Malagrazia" di Margherita Ingoglia - Recensione e Video intervista

24/02/2023 00:01

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Per #LibriOff "La Malagrazia" di Margherita Ingoglia - Recensione e Video intervista

A cura di Ornella Mallo

Ottavo appuntamento con la partnership di Radio Off. Per la rubrica Libri Off, vi proponiamo la recensione e la video intervista che Ornella Mallo ha fatto a “La Malagrazia” di Margherita Ingoglia


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A cura di Ornella Mallo
 

Il termine “eresia” discende da “Hairesis”, che in greco significa “scelta”. “L’eresia è di per sé una gran cosa, e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare di essere eretici, se no è finita. Voi avete visto che non è stata solo la Chiesa Cattolica ad aver paura dell’eresia. È stato anche il partito comunista dell’U.R.S.S. ad avere paura dell’eresia, e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico”, scriveva Leonardo Sciascia. Eretica si professa Margherita Ingoglia nella silloge “La malagrazia. Ballate (delle) disturbanti”: “Ero eretica in libertà di vigilata parola, e / lo sono ancora / sebbene dalla fossa io gridi senza riprensione, / come un asfodelo nel baglio tombale / mi godo la tara che vale il vizio / di parlare, perché la morte che il corpo dissipa, /la lingua lascia vagare, / di bocca in bocca, /nella bocca di altre sorelle, / – le eredi endemiche di malagrazia embrionale – / nella bocca, la lingua si muove / come un lungo, saffico / bacio d’amore. / Haram, mio signore!” Haram in arabo significa luogo sacro, inviolabile. E nella silloge la poetessa afferma l’inviolabilità della donna, del suo corpo, la sua assoluta libertà dal maschio e dagli stereotipi che nei tempi passati l’hanno inchiodata in uno stato di soggezione. Inviolabilità delle donne, e inviolabilità della sua personalità, che con i suoi versi forma un tutt’uno, come si evince dalla citazione di Cocteau scelta ad esergo: “Ecco la differenza tra un libro che non è un libro e questo libro, che è una persona cambiata in libro. Cambiata in libro e urlante”. Emblematici anche i versi che aprono la raccolta: “Mi hanno costruita immobile / una combinazione di calce e cemento / Sto nel mezzo, tra due sorti”. Ma la scelta di essere mediana non è volta a una congiunzione delle due opposte sponde, ma al contrario a una netta scissione: “Sono il limite che disgiunge”, “Essere iato è il mio dovere”. La sua è una poesia marcatamente femminile, in cui confluiscono le voci delle donne che hanno fatto la storia della poesia rifiutando in modo deciso di svolgere i ruoli ancillari che la società avrebbe voluto imporre loro: sentiamo quindi in Margherita echi della Cassian, che scriveva “Io sono io”; il controcanto della Ingoglia è “Io esisto: esclusa dalla pancia delle cose / Io – che io non è – / Io – che io non ho –“. Cogliamo echi della Achmatova, di cui ricordiamo i versi “Ho domandato al cucù / quanti anni mi restano da vivere… […] Ma non un suono nel fresco boschetto… / Vado a casa, / e un fresco vento accarezza / la mia fronte ardente”; l’Autrice di rimando scrive: “Ho il rosso della febbre da quando mi combatto. […] Sono una specie storta / abito nel frammezzo di ogni evento. / Metto il ghiaccio sulla fronte / per sfebbrare.” E in un’altra poesia leggiamo: “Dallo specchio al muro, / dal muro allo specchio / è un cucù di ombra e apparizione. / Sono questo, in riassunto.”​LaPoetessa, oriunda come Sciascia della provincia agrigentina, compie un’accurata analisi della sua psiche: la poesia le fa da strumento e da specchio, e non omette nulla: riflette ambivalenze e contraddizioni, rabbia e dolore, la sua fragilità e il suo inclinare verso la dolcezza, la sua conversione all’empatia e all’amore che non chiede nulla in cambio. Proclama il suo essere “Uno, nessuno e centomila” per dirla con Pirandello, altro illustre letterato agrigentino. Scrive Margherita: “Sono Eccentrica, / Pantagruelica / Onnivora / Mefistofelica / un superlativo di opposti.”; “Sono stanca di questa estranea che mi abita! / Luminifera, eristica, irraggiante tracotante, ma chi sei? […] Un gocciolame disturbante di parole, corrosivo. / Questa è lei, mezzo busto di cariatide / indisponente e saputella.” “Vorrei essere un filo di fratta, / ma sono la pagliuzza nell’occhio che corrode la vista”. È dunque corrosiva, la Poetessa, nei confronti degli stereotipi di genere, che vorrebbero la donna asservita all’uomo e timorata di Dio: leggiamo: “Dice che femmina è una parolaccia di sette lettere sgrammaticate”; “Serva è, la donna, / e appartiene all’uomo prima che a se stessa”; “Da bambina mi davano a giocare con la scopa, / un tradizionale antipasto al futuro banchetto di genere. / Sapevo che la cucina era donna, / la casa costruita a misura delle madri.[…] A quelle donne cammeo dalle accorte maniere, / le voci di calma, i seni materni e / i meaculpa sul petto a ogni domenica santa, io / mi avvertivo distante, una vena imparente.” L’ironia della Poetessa copre di ridicolo e discioglie come un potente anticalcare, per lasciarlo scivolare nei tubi, “il maschio straparlante”. Scrive: “Gli uomini-fischietti, quelli che parlano solo per dare aria alla / bocca, / fanno commenti poco meno che delinquenti.” Critica la società di oggi: “Questa moderna è l’era dell’uomo lavatoio, / che muore come nasce, in acqua di Pilato. / Dimentica / e vive in perpetua corrente, attaccata all’elettrico / come pietra di memoria erosa”. Attacca la Chiesa, rea, secondo Margherita, di avere avallato la soggezione della donna all’uomo, non foss’altro essendosi resa colpevole della caccia alle streghe, e si proclama strega lei stessa. Sulle colpe della Chiesa leggiamo: “Potrei diventare pia / forse, / o come il XII che non si oppose al massacro / e appoggiò la Shoah, venerata”. Contesta l’esistenza stessa del peccato originale, difende Eva a spada tratta e afferma: “Andavo in moglie al divino, / per scontare una pena / che mai ho potuto conoscere. / Io, per dispetto, mangiai un seme di mela: / che l’albero mi cresca nel corpo!” L’ironia cede il posto al dolore nei versi in cui la poetessa confessa la propria incapacità di credere: “Non so trovare dio. / Le chiese sono vuote. / Il cielo è freddo, / il lampione stanco, balbetta. / La strada è caduta nell’incantesimo. / Ho la febbre, / la fede malata, / Un’amara stanchezza di gioia.” E ancora traspare la sua malinconia quando affronta il delicato tema della maternità. Sono tante le poesie che evocano la figura della madre, prima donna in cui l’essere umano universalmente si imbatte al momento della nascita. In una poesia femminile come quella di Margherita, che si fa portavoce delle problematiche delle donne, la madre è una figura primigenia presente nella poetessa stessa in quanto donna: “Nella ferita di nascita sono madre da sempre, /​ e ogni volta scavata fin dentro al mio buio”. Contrasta con la propria madre per poi accoglierla, identificandosi. Leggiamo: “Ho ucciso mille volte mia madre, / dentro me, inconsciamente. […] E ho rinnegato questa madre succube e passiva, / silenziata a ogni accenno di parola, / rassegnata all’ubbidienza. / […] L’ho sconfessata per non rassomigliarle, / esserle diversa, distante dal cordone che ci lega. / […] E questo strazio che già avverto, / mi lascia come un pesce nella boccia. E provo forte, / mentre mi compongo e mi dissolvo, / la rassomiglianza di quest’io – tutta mamma”. Alice, la Bella Addormentata, Sherazade, Clitennestra, Messalina, Papessa, finocchia, maschia: tutte identità presenti nella poetessa, che sente fortemente la sorellanza con tutte le donne: “Non c’è mistero in questa linea di donna progettata al femminile”. Donne, non bambole compiacenti l’uomo: “Non c’è esistenza nelle bambole: / tracce immobili di bambini mai nati. / Recinte da un alone di dramma scettrato, / come un alone di talco antico / qualcosa di bianco, sporcato dal bacio del tempo.” Le poesie di Margherita Ingoglia, rigorosamente senza titolo, sono moderne, dal taglio prosastico: la parola, soffertamente cercata, illumina nella definizione della realtà circostante: “Scrivo un nome a caso per dire ad alta voce quella cosa . / Cosa è il termine origliato alle porte dell’abisso, che ruota attorno / all’asse / senza essere pronunciato”. L’Autrice usa termini a volte estremamente forbiti, a volte attinti dal linguaggio quotidiano. “Come Icaro vola tra i fogli”, gioca con consonanze e assonanze, padrona della sintassi scompone le parole e con esse gioca, garantendo il ritmo della ballata. E, del resto, è lei stessa a scrivere così: “Aiutami a battere il petto, / madre / così, mentre muoio, / nello sfoggio di vesti e cavigliere, / mentre muoio / posso ballare.”