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Per #LibriOff "Luce dal più vasto giorno" di Biagio Accardo

27/01/2023 00:01

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Per #LibriOff "Luce dal più vasto giorno" di Biagio Accardo

Le recensioni di #LibriOff - A cura di Ornella Mallo

Quinto appuntamento con la partnership di Radio Off. Per la rubrica Libri Off, vi proponiamo la recensione che  Ornella Mallo ha fatto a “Luce del più vasto giorno” di Biagio Accardo


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A cura di Ornella Mallo

 

"Luce del più vasto giorno” è un cammino verso la luce “più vasta, non saputa” che fiotta dallo scuro che risiede in noi , luce che visita le crepe della nostra esistenza, apre i nostri costati, segna lo spartiacque dal buio della notte. Di poesia in poesia, Biagio Accardo racconta il percorso esistenziale da lui vissuto negli anni compresi tra il 2009 e il 2022, di cui la produzione poetica è testimonianza. La silloge si articola perciò in diverse sezioni , ciascuna delle quali include poesie accomunate dal tema trattato o dal periodo storico in cui sono state scritte, per come spiega l’Autore nelle note conclusive. Ogni sezione è preceduta da un esergo attinto da un autore diverso, significativo nella formazione del poeta . Pe r citare qualche esempio, rileviamo Borges, Cappello, Rilke, Viviani, Donne. Introduce l’intera raccolta una citazione di Mario Luzi, l’autore la cui influenza è preponderante rispetto a tutti gli altri . Mi è sembrato infatti di ravvisare, nel corso della lettura, tratti comuni a “Nel magma” di Luzi, per la complessità della crisi , esemplificata , da entrambi gli autori, sotto forma di un dialogo o quanto meno di una interlocuzione tra loro e una donna, alter ego, ma non solo. Protagonista della prima poesia della raccolta è una figura femminile che procede cauta, ma decisa, che va perdendo lungo il sentiero brandelli di carne e di anima, e che si volta “a cogliere, / a raccogliere” qualcosa, senza sapere se “il raccolto le appartenesse / o se fosse dei tanti per quella via / già da tempo passati. A guidarla / solo ciò che vedeva lontano, / là dove la riva si sfaceva in mare, / e questo in più aperto cielo.” Un’ evidente metafora della poesia , che origlia l’anima di noi uomini “Fatti esili, quasi / di vento” , mentre dice cose “ che da sempre dice / tacendo ” : “scrivere poesie che solo / i sassi sanno, l’erba / ode, cantano le lumache”. L’autore confessa di credere fermamente nella metafora, suo strumento principe , il cui gioco “dissolve e confonde confini”: un vero e proprio “seme che cresce e non sa / che romperà il baccello che lo tiene.” Ma la donna eletta a interlocutrice dell’Accardi non è soltanto la poesia. Allo stesso modo di Luzi, sovente è la compagna di vita, Rita, cui si rivolge sfaccettando il sentimento a moroso in tutte le sue asperità e contraddizioni, affermandolo e negandolo, ma riconoscendole sempre la capacità di essere una figura salda e una sicura guida del suo cammino. Se da un lato si chiede “se fu amore ciò che poi non si ricorda”, se il “vuoto” che il poeta avverte non condanna la sua donna al rimorso per ciò che gli ha donato, dall’altro ravvisa in lei la capacità di richiamarlo, e di invitarlo a “ guardare senza temere ” : “E io, / che meglio ora la fisso, le riconosco un dolore / che tanto le ho donato perché ve ne traesse / questo sentore di continua alba” . Ammette l’esistenza tra loro di un amore “antico” quanto la sua stessa nascita , che genera non solo sconfinamenti, ma anche condivisione inconsapevole degli anfratti più riposti dell’anima; è della compagna “l’occhio che decide cosa tagliare / e cosa no”, “il miracolo di saper ferire, / ma solo per un maggior vivere, solo / per non lasciar morire.” Altra figura femminile che affiora è la madre, protagonista insieme al padre di una poesia. Scrive l’Autore: “Mi ergerò e tornerò a guardare / se mai io la vedessi tornare. / S arò con la lucerna in mano, / il fanale che mio padre accendeva / per entrare in galleria . // Mi alzerò e tornerò a cercare / la sua alba nel profumo di viole / […] se mai / io sentissi la voce di mia madre / riprendere a cantare.” E’ un vagare del poeta tra passato e futuro, tra memoria e sogno, “pane che sfamapiù ​del pane”, alla ricerca dei punti fermi dell’esistenza, individuati in un Dio presente in tutte le cose, che è “amore che non aspetta di essere amato” , come scrive riprendendo una citazione tratta dalla poesia di Borges “Baruch Spinoza” ; un Dio verso cui nutre una forte fede, che poi è la capacità di “vedere lontano, oltre / questo verde, dentro / un vento duro, tramontano.” Leggiamo infatti: “Sia sempre così: sperare / quando c’è nebbia , / fidare nella dimora / prima che questa appaia”. Il sentimento religioso permea tutte le liriche, specialmente quelle dedicate all’amico fraterno Giuseppe Augello, sacerdote, del quale scrive: “sento / ancora la tua voce gridarmi, / come un austero profeta, / che anche l’ultimo dei miei capelli / era da Lui voluto”. La scrittura si fa testimone e strumento delle riflessioni del Poeta, generate dalla capacità di scavare dentro sé stesso, sollecitato anche da esperienze fortemente dolorose come la malattia: “Impudica è la malattia: ci spoglia / sempre dove sarebbe inadeguato / spogliarci”; “in quell’ora siamo luridi, / come nel momento del nascere: / sempre – come allora – purissimi.” Lo sguardo del poeta non è solo introspettivo, ma anche capace di allargarsi fino ad abbracciare l’intera condizione umana, e la tortuosità del cammino che l’uomo in quanto tale attraversa: “Vanno, in chiuse geometrie / di strade, uomini. Non senti / il loro camminare in un utero / freddo che sfalda la memoria? // Ma tu agita il vento, apri l’infetta / ferita, risana, cauterizza l’infesta / abitudine di passare da giorno a giorno.” Scriveva Miguel de Unamuno: “Notturno il fiume delle ore scorre dalla sua sorgente che è il domani eterno”. E leggendo le poesie di Biagio Accardo si ha la sensazione di risalire lungo la corrente del fiume della sua vita, in un passato che si fa metafora delle difficoltà dell’oggi , se si considerano le bellissime liriche in cui l’ autore ricorda i viaggi fatti con gli scouts , ricchi di immagini allegoriche, che ben si attagliano a descrivere la condizione umana del tempo presente: “Si va. In silenzio. / / Insieme a chi / attacca la rampa / di un tornante // sparendo dalla vista / dei nostri occhi umani.” La natura che fa da sfondo alle poesie è quella siciliana : struggente la poesia dedicata all’isola di Sicilia, di cui scrive che “s’erge dal mare / e lentamente si fa pietra, carne, / e infine cielo e sogno.” E dei siciliani afferma che sono “voli tentati e spezzati, / i baci promessi e non dati, / le parole che non fiorirono alla luce del più vasto giorno”. Ed ecco la casa di Pirandello e il porto di Marinella , l a foce del Belice, tutti pervasi dallo spirito del Poeta, che ama il mare, pur sgomentato dalla sua grandezza , per cui preferisce vivere ancorato ai monti “del mite Sicano” , luoghi in cui trova la pace . L a scrittura è un tutt’uno con il dolore dell’Autore : “scrivi tutto, senza omissione […] intingi la penna / nel sangue delle tue mani”. E le riflessioni conclusive, quelle che comportano un ritorno dei conti, depongono a favore dell’amore rivolto alle piccole cose : “Ho deciso di amare cose / non più grandi di un sasso.” Eletti sono gli uomini la cui vita nessuno ricorda, come il poeta, che come loro vive “per il solo e naturale desiderio di donare” . Afferma: “Non fu vana la strada”. E il quaderno del poeta ha ancora pagine vuote, su cui scrivere con un “tratto leggero, / emendabile”. Continuerà il suo cammino nelle latebre dell’anima, scavando come una talpa nel suo cuore, “tessuto da cunicoli di buio e radure di luce”. Cercherà sempre “il diaframma che lo separa dall’antica riva, il molo da cui partì e a cui farà ritorno”.