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Franco Canavesio - Custode del giardino - Aurora Boreale

13/11/2020 00:01

Admin

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Franco Canavesio - Custode del giardino - Aurora Boreale

Franco Canavesio   Custode del giardino   Aurora Boreale   L'angolo della poesia   Le recensioni in LIBRIrtà ADAMO SOGNATORE​ Lorem Ipsum è un testo s

 

 

 

 

 


Franco Canavesio

 

 

 

Custode del giardino

 

 

 

Aurora Boreale

 

 

 


L'angolo della poesia   
Le recensioni in LIBRIrtà


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                          ADAMO SOGNATORE​

 

A cura di Paolo Pera

La silloge d’esordio di Franco CanavesioCustode del giardino (Edizioni Aurora Boreale, 2019), è un trionfo di delicatezza con una dualità quasi impercettibile: da un lato v’è la veglia del “custode” e dall’altro il suo sonno, le sue peregrinazioni notturne. E tali dimensioni, nella dolcezza linguistica di Canavesio, smarriscono il confine; pure Mario Marchisio, il prefatore, parla del «diario di bordo d’un poeta sonnambulo», incrociabile coi Canti dell’innocenza di Blake per lo stupore fanciullesco… anche (anzi, soprattutto) durante la conta dei “sogni erotici” dell’ultima sezione.

 

Il libro si apre con una rassegna di testi che dànno il titolo all’opera, qui ci interroghiamo fin da subito se questo custode sia il Dio che camminava nell’Eden proteggendone le creature – già domandandosi pure se sarà in grado di perdonare la loro disobbedienza –, o se sia la migliore delle predette a custodire chi gli è simile. Parrebbe quasi l’estetizzazione dell’atto quotidiano di chi avesse un balcone pieno di piante, l’atto d’annaffiarle, di lisciarne e carezzarne le foglie. Sotto la cupola edenica possiamo certo credere che Canavesio sia il grande giardiniere: non creatore ma curatore d’un rigoglio a cui può assistere. Questo libro, effettivamente prezioso, è dunque la lunga giornata d’un uomo che riposa, immagina, ricorda e cura l’umanità che lo comprende (come pure la propria cristallina purezza).

   Contrariamente a Leopardi, il nostro custode percepisce la vita nel suo luogo di lavoro; di notte – avvolto dall’edera – subisce, altresì, ogni visione gloriosa: non è più lui a curare, è il giardino a pascerlo per riconoscenza. Mettiamo le carte in tavola, a costo d’essere noioso mi tocca dare ragione a Marchisio: che cos’è mai il giardino di cui Canavesio ha cura? Il prefatore ci suggerisce la risposta: la poesia. È qui evidente perché l’accudimento diurno di quest’ultima riporti dei benefici notturni, l’attenta mente del poeta infatti non smette mai di cogliere gli indizi soffusi che disappaiono… proprio come Paperone raccoglie i penny caduti di tasca a chicchessia. Non per altro nella seconda sezione vediamo il Nostro in avventure mirabolanti, agile e volante come Peter Pan!

 

   Sveglio, ancora tramortito dal sonno, Canavesio sembra sentire una canzone nella mente; è forse il cervello che ricorda qualche verso da melodramma? No, è quanto rimane del sogno; che già si condensa in poesia, poiché – mi verrebbe da dire – nel pensiero la poesia ha il suono migliore, ancor di più che dalla voce d’un dicitore…

 

   Amando la natura pari a un pre-romantico il poeta le dedica un’intera sezione, che pare quasi la veduta che di giorno in giorno scova al di là della propria finestra. La positività che pervade questa raccolta commuove e delizia.

 

Arriviamo infine alla sezione più semplice e fascinosa insieme, Autoritratti, dove Canavesio cerca d’immortalare l’amore per la madre, quasi ricercando chi essa fu prima d’essere qualcosa per lui. Le raffinate sfumature che descrivono fisicamente e interiormente il nostro autore ci dimostrano quanto possa essere bello leggere un’autobiografia in versi (poiché generalmente stomacano). La cifra del poeta sta tutta in questa sezione, dove il custode del giardino leviga il proprio ricordo rendendolo un’opera d’arte. In una delle composizioni qui presenti leggiamo: Dell’infanzia resta il ricordo / […] Al di là vive un tempo d’assenza; ciò che non resta viene lasciato al vuoto in Canavesio, quanto permane invece è una totalità sempre amabile. Raggiunta l’età senile rimane almeno ciò che è stato – come logico… –, saperne amplificare i vividi brandelli apre il passaggio all’eternità che il singolo può ipotizzare: ricongiungendosi con ogni attimo del sé; è dunque così che la conclusione d’ogni cosa non sconfiggerà mai il grande sentimento che ha saputo vivere e tramandarsi.

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