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Alfredo Rienzi - Partenze e Promesse. Presagi - Puntoacapo

08/09/2020 00:01

Admin

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Alfredo Rienzi - Partenze e Promesse. Presagi - Puntoacapo

ASPETTANDO DI MORIRE,​RECENSIONE AD ALFREDO RIENZI a cura di Paolo Pera

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Alfredo Rienzi

 

 

 

 

Partenze e promesse.
Presagi

 

Prefazione di Dario Cappello

Postfazione di Ivan Fedeli

 

 

 

Puntoacapo

 

 

 

L'angolo della poesia
Le recensioni in LIBRIrtà

A cura di Paolo Pera

ASPETTANDO DI MORIRE

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La silloge rienziana «Partenze e promesse. Presagi (puntoacapo Editrice, 2019)» avrebbe, a mio modesto avviso, da chiamarsi esclusivamente «Presagi», digià che leggerla significa aspettare – con l’autore – l’avvicinarsi della «data della sua morte». Di che presagio parliamo, insomma? L’unico ipotizzabile: tale data è sorta da un gioco, è stata accettata (e, si sa, solo quant’è assentito esiste nella coscienza); ma sarà davvero lei, considerando che – non essendo noi il Padreterno – non ci è dato di sapere nulla fuori dall’esperienza? Ebbene il dubbio è il presagio, quanto ci incolla all’aspettativa, e pure al desiderio che la morte non preceda la data. In più v’è da dire che di questa data non si conosce l’ora: immaginiamoci un uomo, Rienzi per esempio, che si sveglia in tale data conscio di dover rendere l’anima a chissà chi; esso si potrà domandare ripetutamente: «Quando succederà, perché non l’ho chiesto? Avrò tempo di fare due commissioni? E se capitasse proprio mentre sono a spasso? Preferirei dopo pranzo, mentre riposo. Se possibile che sia indolore…», ora tendo certamente ad alleggerire la portata di questo presagio, seppur conscio del dolore lancinante dell’attesa – che blocca, o che forse spinge intensamente all’esistenza!

Di Rienzi leggiamo: ho stimato, nel poco tempo che ci concedono le grandi scelte / che avrei riacceso l’amore per la vita / (per quel che resta della vita); m’immagino il poeta intento in una qualche seduta cabalistica o una lettura di tarocchi, pronto ad accettare una qualunque data pur d’uscire dal torpore d’una vita stanca d’essere vita – di fatto, divenendo morte (in quanto aspettativa della morte) prende una fortezza ancora più desiderante, ancora più decisa a darsi finché il tempo lo permette; darsi a chiunque, infatti l’ipotetico epitaffio reciterebbe: cercò di voler bene a tutti / anche a chi ne esigeva in esclusiva / e promulgava veti ed anatemi.​ Aspettando di scoprire se il poeta avrà ragione, possiamo tenere presenti le poche profezie postume che ci lascia, ovviamente da appurare dopo di lui (poesie introdotte da versetti biblici; qui ne segnalerò pochissime): un’immagine apocalittica che vede i sacerdoti inermi mentre il tempio brucia col Dio dentro (poiché interessati solo a salvarsi, e a non affumicarsi, la tonaca); le nazioni si addolorano di non essere state capaci d’alfabetizzare i propri cittadini (che sia forse un falso sentimento?); l’Europa è finalmente in pace con sé stessa (forse dopo la cattività europeista? Chissà). Ebbene, Rienzi dopo questa – potremmo dire – fortunata scoperta (la data della sua morte) è pari a Lazzaro: può finalmente dirci che cos’è l’Aldilà, e chi l’abita! Risponde così: «Là sentiremo la voce di chi desideriamo». Come suggerisce pure il poeta Ivan Fedeli – nella postfazione – il ruolo che Rienzi reclama non è solo quello di Lazzaro, ma pure quello di Cristo che – oltre a dover dire di sé a ogni scimmia, noi… – prega nell’orto degli ulivi aspettando d’essere arrestato dopo aver acconsentito al tradimento di Giuda; inginocchiato, per prepararsi al supplizio, toccheremo lievemente la spalla del poeta rincuorandolo così: «Sul letto di morte ogni uomo è in croce», e lui – più conscio di noi sulla questione – ci dirà: «Per voi il tempo non è prossimo. Fiorite […] senza il dubbio / tra la resa e la vita».

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