
Francesco Rovella
Più forte del fuoco
Settimo Sigillo
Le recensioni in LIBRIrtà
A cura di Giovanni Coppola
La violenta stagione degli anni di piombo è stata narrata e spiegata attraverso una notevole e variegata produzione letteraria. A mio parere, sono stati pochi i saggi e i romanzi, perlopiù, autobiografici, che non sono rimasti impantanati nella trappola dello stereotipo o che sono stati scevri di una narrazione adulterata, idonea solo a rendere una verità di parte. La storiografia ha in sé il difetto dell'obiettività, e quando l'argomento trattato è spinoso e doloroso come quello della lotta armata, il difetto si amplifica.
C'è un romanzo, però, che secondo me esce fuori da questo schema paludoso, ed è quello di Francesco Rovella, noto come Checco, “Più forte del fuoco” (Settimo Sigillo Edizioni, pp. 288, € 22,00 ) perché è riuscito a tenere in equilibrio il significato e il significante della storia narrata, rimanendo aderente ai fatti più che alle opinioni. Gli spunti di riflessione che offre al di là della sua storia personale, sono tanti e di diversa natura.
Molti aspetti narrati risulterebbero incomprensibili ad un “millennial”, ad uno dei ragazzi nati nel pieno del dominio del consumismo e formatosi in piena era digitale. Perché gli anni '70 sono stati anni dai significati forti, profondi, azzarderei dire analogici, che hanno dato centralità “all'impegno” ideologico di ragazzi e ragazze che sentivano il bisogno dell'affermazione di una “coscienza” in senso lato, nell'affannosa ricerca di una dimensione autentica che trascendeva la contingenza politica, quella che si rifugiava nelle pratiche burocratiche e nei giochi di potere.
Le pagine del bel libro di Rovella tutto ciò lo spiegano con dovizia e senza sbavature, rimarcando quel bisogno di imprimere una concezione differenziata di esistenza, che non era un bisogno solo di Rovella ma di tutti coloro che fecero la sua stessa scelta per fare avanzare una Idea che per il solo motivo di osare risultava vincente. Più che autobiografia a me piace considerarlo un romanzo generazionale, perché nella superficie del racconto emergono prepotentemente quei “credi” e quelle “scelte” che oggi a tanti risultano incomprensibili ma che hanno caratterizzato gli anni 70 e una intera generazione, che preferiva la ruvidità del rischio alle sicurezze borghesi, generazione del “ciclostile”, simbolo di fatica, impegno, coraggio, e sacrificio. Ed è quello che ci racconta Rovella, militante e reggente di Ordine Nuovo, che attraverso la sua storia personale fa degli appunti politici di rilievo, come quando parla di “fascismo di sinistra”, locuzione che la controparte volutamente ignora e che molti che si definiscono fascisti non comprendono.
Una locuzione che mi porta alla mente Nicola Bombacci, fondatore nel 1921 del Partito Comunista, ma che nel 1945 muore accanto a Mussolini e con lui appeso in quella macelleria messicana di Piazzale Loreto. E ritorna il ricordo di Bombacci (“non mi curo dei ribelli, ma della ribellione”) nel romanzo di Rovella quando esterna il suo sacrificio sull'altare di una tentata rivoluzione, che qualcuno definì “impossibile”. Bombacci incarnò per primo e in modo genuino i significati autentici del “fascismo di sinistra”, fu il suggeritore dell'autarchia, uno dei teorici della socializzazione, e uno dei “vergatori” del Manifesto di Verona.
Un altro appunto politico di Rovella ci svela quella che era la loro posizione su nazionalismo e patriottismo, che è priva di confini e che è afferente non ad un territorio ma ad una Idea. Un romanzo, inoltre, che conferma come quell'ambiente da cui proviene Rovella è un ambiente composito, un incontro di anime diverse, di umori spesso diametralmente opposti. É un ambiente che non si è mai liberato dello spirito costitutivo diciannovista, quello che mise insieme monarchici ed ex socialisti, borghesi e sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti e reducisti.

“Sono una piccola parte di tutto un mondo che sta soffrendo per non dichiarasi vinto” sta in questa romantica affermazione di Rovella secondo me il vero significato del suo impegno, congiuntamente a quel disagio che accompagnò la pretesa di arrivare a costruire un altro livello dell'Essere, un afflato comunitario capace di ribaltare vecchie logiche e di liberare dalle incrostazioni ideologiche un ambiente che amava stare sotto il cono d'ombra della nostalgia. Riconosce Rovella che quello fu un periodo di esagerazioni, e che ogni dolore provocato fu responsabilità di tutti, perché ognuno contribuiva con il suo “pezzettino di odio”. Ma c'è un passaggio che io in altri libri del genere non ho mai trovato, ed è il passaggio che riguarda il concetto di odio. Questa è una nazione che ancora continua una guerra civile iniziata 80 anni fa, e sull'odio ha costruito non solo una narrazione tossica, ma carriere e posizioni di potere. É una nazione questa che l'odio te lo fornisce in tutti i modo possibili, te lo portano pure a casa l'odio, impacchettato e con tanto di nastro rosa. Rovella all'inizio del suo romanzo fa una puntualizzazione che tende a frantumare il monolite di odio: “io nutro nessun rancore, nessun odio”, anche se non manca un suo rammarico per la mancanza di una memoria condivisa. Che farebbe bene a tutti, soprattutto alla verità.

L'autore
Francesco "Checco" Rovella è stato uno dei maggiori rappresentanti di Ordine Nuovo. Tutto, proprio tutto, di ciò che si voglia conoscere del pensiero di Francesco "Checco" Rovella, lo troviamo nel libro recensito da Giovanni Coppola.
Il libro
Titolo: Più forte del fuoco
Edizioni: Settimo Sigillo
Pagg.: 288
Prezzo: € 22,00
Voto/Valutazione: sublime