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Quante interessanti curiosità nell' "Atlante della nostalgia" di Marco Patrone - Arkadia

23/02/2022 00:01

Admin

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Quante interessanti curiosità nell' "Atlante della nostalgia" di Marco Patrone - Arkadia

A cura di Salvatore Massimo Fazio

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Marco Patrone

 

Atlante della nostalgia

 

Arkadia Editore

 

L'intervista


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A cura di Salvatore Massimo Fazio


Se nell' “Atlante della felicità”, Helen Russell si chiedeva quante forme aveva proprio la felicità, specie nelle culture del nord Europa, armeggiando anche i suoni delle parole da nazione a nazione, il genovese Marco Patrone nel suo “Atlante della nostalgia”, pubblicato lo scorso dicembre per i tipi di Arkadia Editore, nella collana Eclypse, affronta all'interno di quella sensazione sgradevole per i più, che però risuona come magnificenza dell'essere ardito, una scalata verso la meraviglia che va ben oltre la felicità. Aspetti tecnici dell'essere umano, che nel quotidiano vive tutte le condizioni che lo coinvolgono, si presentano sin dal primo racconto (sono 14 divisi in 4 sezioni, n.d.r.). Ciò che prepotentemente emerge è il disagio dell'essere che piuttosto a farsi vincere, riesce in quel gesto semplice di superarlo grazie ad esempio ad una birra gelata, che riporta sempre ad un frame di nostalgia, ma che permette al contempo di replicare ex novo l'episodio o l'evento vissuto. Siamo nel paradosso? No! Forse è l'ossimoro, in senso ampio e anche lato, che Patrone sviluppa, e questo ne fa una lezione di stile che non semplicemente incontriamo d'altre parti. Ma l'autore non è nuovo a questi colpi di maestria personalissima, ricordiamo che vanta diverse pubblicazioni, con Transeuropa, con Arkadia e presenzia anche in importanti raccolte come la prestigiosa diretta da Gabriella Kuruvilla dedicata alle città e (unico caso ad oggi con la Sicilia, alle regioni) per Morellini, dal titolo “Monaco d'autore”. Come mai autori italiani si trovano a narrare di Monaco? Non ci è dato saperlo in questa sede, basta scoprirlo negli archivi. Ma questa è un'altra storia.

Mi ha molto incuriosito il crescendo, quasi fosse un'opera musicale da camera con dei virtuosismi che danno il senso di rottura, che piuttosto che recensirlo ben oltre questo cappello, ho scelto di intervistarlo. Ho chiesto allo stesso se fosse disponibile e la sua risposta è stata positiva.

 

È la prima raccolta di racconti soltanto tuoi: come e perché sei voluto approdare ad una tua antologia?

«Il formato del racconto è il primo che ho utilizzato quando ancora da ragazzo ho cominciato a scrivere. Mi ero poi fermato per alcuni anni, ma ho sempre notato che è appunto una forma che mi viene spontanea e che di solito viene apprezzata da chi li legge. A un certo punto avevo accumulato tanto materiale che sarebbe stato (per me) un peccato non metterlo insieme e proporlo all’editore. Ovviamente per una sorta di onestà nei confronti dei lettori ho scritto molte cose nuove (la maggioranza nel libro) che poi ho provato a organizzare nel flusso tematico, nel filo conduttore anche temporale dell’opera. Ho lavorato come vorrei lavorassero per me da lettore gli scrittori di racconti, perché credo stimolante vedere e intuire anche l’evoluzione dello scrittore nel tempo.»

 

La gestazione di questa raccolta ti ha preso molto tempo o hai scritto di getto per poi sistemarla? 

«Il primo racconto (primo anche nella raccolta, La vita quieta, molto Carveriano probabilmente, ai tempi lo avevo appena scoperto) è stato scritto quando avevo 27 anni e facevo il servizio civile a Villafranca di Verona. L’ultimo che ho scritto è di qualche mese fa. Un lavoro di una vita, insomma, e con la pandemia che paradossalmente mi ha dato una mano, perché il rinvio del lancio mi ha permesso di scrivere cose nuove e organizzare molto meglio il materiale.»

 

Vivere lontano dalla propria terra natia ha potuto influenzare tutta la tua scrittura e anche quest'ultima opera?

«Sullo stile non penso perché comunque la lingua italiana rimane per me importante, di riferimento, non l’ho sostituita completamente col tedesco, credo abbiano influito di più i miei riferimenti letterari impliciti ed espliciti, a volte infatti capita di essere influenzati quasi inconsapevolmente da cose lette nell’età “chiave”, di formazione, nel mio caso dico come esempi De Carlo e addirittura i fumetti di Topolino. Nel libro ci sono alcune ambientazioni tedesche, ma le ho limitate perché penso che alcune specificità possano dire poco al lettore italiano, e tutto sommato se si parla di cose di quelle di cui cerco di parlare le ambientazioni geografiche possano non essere tanto importanti. Una curiosità: un racconto – La città e la città – mi è stato ispirato da alcuni luoghi industriali nel Saarland, in Germania, ma poi ho preferito cambiare i nomi dei posti – peraltro inventandone di immaginari - per i motivi che dicevo prima.»

 

A chi hai dedicato l'opera?

«Su certe cose sono pigro e testardo, e non ho voluto dedicarla.»

 

Perché, correggimi se erro, c'è questo salire, questo crescendo quasi musicale della malinconia che però trova una risoluzione in paragrafi dei capitoli come ad esempio il biciclettaio, in cui ho olto una sorta di specifica zen?

«Non sbagli per niente, intanto appunto ho immaginato un filo conduttore di “vita” che parta dalle speranze dell’adolescenza all’esplodere di una o più crisi, ho chiamato “Marco” diversi personaggi per sottolineare il filo conduttore. D’altra parte, la musica è sempre presente nella mia scrittura anche con titoli, riferimenti, a volte nascosta, e mi piace la tua intuizione del crescendo. Mi è piaciuto nel finale lanciare qualche segnale di catarsi perché io fondamentalmente sono un ottimista.»

 

Tu sei anche uno dei più apprezzati blogger italiani e hai una piattaforma ben seguita: hai pensato mai di trasformare il tuo lavoro solo verso la scrittura?

«Ci ho pensato senza arrivare a una soluzione, un po’per pigrizia un po’ perché fondamentalmente mi piace anche il mio lavoro vero.»

 

Marco: quando finirà l'epoca della crisi?

«Ho scoperto da poco che non è vero come l’ideogramma che in Cina rappresenta la parola “crisi” contenga i concetti di pericolo e opportunità. Però sarebbe bello fosse vero. In questo senso le crisi non finiranno ma appunto si muteranno alternando continuamente pericolo e opportunità. Parlo anche di crisi economiche.»

 

Può un danno, un disagio, un disturbo psicologico aprire orizzonti di guarigione sociale?

«La domanda deriva di sicuro dalle situazioni di molti racconti, dove si parla di disagio psicologico, depressione, dipendenze, a volte tutto insieme. Cose che conosco – credo – bene.

Assolutamente, è un concetto simile a quello di sopra dove parlavamo di crisi, il disagio se riconosciuto e affrontato (con gli strumenti giusti) può essere la chiave di un miglioramento. Poi personalmente penso che nessuno guarisca mai completamente, ma anche il restare vicini al proprio problema o ai propri disagi, parlarne, occuparsene, occuparsi di se stessi, sia un grande innesco per il miglioramento.»

 

Può essere terapeutica la scrittura nonostante il rischio di scrivere sempre di un tema e sempre in una modalità?

«Ci sono secondo me due cose da dire su questo. La scrittura può essere terapeutica ma poi lo sbocco non deve necessariamente essere quello della pubblicazione. Invece se si vuole pubblicare e scrivere bene, secondo me si deve andare un po’oltre allo scopo terapeutico e occuparsi di altri aspetti, ovviamente stile e struttura.»

 

Sai che a Milano il tuo libro è giunto dopo qualche giorno in bella mostra presso una delle librerie più importanti della città meneghina, tanto da conquistarsi una parete?

«Sono stato molto orgoglioso anche perché in parte mi sento milanese adottivo.»

 

Cosa ti aspetti da questo Atlante?

«Il mio libro precedente – Kaiser – parlava di un calciatore e ha un po’ limitato, potenzialmente, la platea dei miei lettori. Mi aspettavo, e qui sta succedendo, che invece con Atlante venissi letto da più persone, persone “differenti” e mi aspettavo – e anche qui sta succedendo – di realizzare alcuni di quelli che chiamo “successi parziali”, per esempio essere entrato nella Classifica di Qualità dell’Indiscreto.»


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L'autore
Classe 1971, nato a Genova, Marco Patrone si occupa, nella sua vita principale, di sviluppo prodotti bancari, finanziari e assicurativi. In questa vita principale, abita a Monaco. Nella vita meno principale si fa chiamare Recensireilmondo, cura l´omonimo blog, con il proprio nickname parla di libri su Facebook e Twitter e pare divertirsi un sacco (www.recensireilmondo.com). Come in una ballata di Tom Petty , uscito a 2015 per Transeuropa, è il suo primo romanzo.

 

Il libro
Titolo: Atlante della nostalgia
Editore: Arkadia
Pagg.: 120

Prezzo: € 13,00

Voto/Valutazione: Immaginifico