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Oltre l'orrore e la sofferenza indotte da necessità

06/04/2023 01:01

Admin

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Oltre l'orrore e la sofferenza indotte da necessità

A cura di Gianfranco Cefalì

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Stefano Bonazzi

 

Titanio

 

Alessandro Polidoro Editore

 

Le recensioni in LIBRIrtà


A cura di Gianfranco Cefalì

 

    Un relitto spiaggiato, immenso, decrepito. Materiale morto che vive, pulsa nella luce abbacinante riflessa dalle onde del mare. Uno squarcio, sul fianco, un’immensa voragine come bocca famelica che brama, affamata chiede disperata. Metà corpo si erge dalla sabbia e metà nascosto, brandelli di materiale che fungono da appigli sottilissimi che cercano qualcosa, che vorrebbero essere usati, e le onde, marosi violenti e calmi che investono tutto, che salgono e scendono con le maree, celando e mostrando a intervalli assolutamente causali lunari tutto un mondo e un agire che riempie e svuota tutte le possibilità.

 

    Il mare come distanza e come rifugio, come materia da attraversare a lunghe bracciate, fino al limite del respiro, fino alla tensione massima dei muscoli. L’acqua che dà vita e la toglie, l’acqua che accoglie, che nasconde, che mostra i vari volti, poco sorridenti e molto feroci, soprattutto con la pioggia, spietata con il sole che brucia.

 

    Il fuoco. Il fuoco come tentativo, speranza illusione, purificazione. Ma qui nessuna Araba Fenice può risorgere, qui è solo un modo per poter mettere a tacere non solo le voci ma anche le azioni. Ma, appunto, resta solo un tentativo, riuscito? Allora entra in gioco la speranza, la speranza di una libertà anelata, bramata nel tempo e nello spazio, uno spazio ostile e ristretto, uno spazio che soffoca e restringe prospettive, e proprio quelle speranze che sono rimandate e attaccate al rosso giallo del fuoco rimangono illusione.

    

    Esiste la possibilità di astrazione in un luogo occludente? Si può sfuggire dalle varie prigioni? Si può correre senza voltarsi mai indietro e riuscirsi a percepire per quello che si è o si vorrebbe essere? Si può sfuggire al male? Si può poter e voler vivere una vita differente? Domande, difficili, e molto probabilmente senza risposte.

    

    Titanio. Elemento metallico conosciuto per la sua resistenza alla corrosione, pari quasi a quella del platino, e per il suo alto rapporto tra resistenza e peso. È leggero, duro, con bassa densità. Allo stato puro è abbastanza duttile, lucido, di colore bianco metallico. Titanio che non serve solo da supporto, non è solamente un’imbracatura che sorregge, sembra invece rispecchiare bene i protagonisti: tutti gli uomini della “Ciambella”, perché sono tutti esseri poco umani e molto umani che sì, si sono fatti corrodere da un ambiente e una vita incomprensibile, ma resistono resilienti alle ostilità di tutto un mondo che fa finta di non vederli, che li rende estranei in terra propria, in un universo ai margini che rappresenta per i protagonisti l’intero mondo, un mondo famiglia molto disfunzionale e mostruoso, che schiaccia sotto il peso deforme e disumano tutti gli esseri viventi. Una casa (mondo) degli orrori privo di attrattive dove rimane solo la paura e il terrore.

 

    Stefano Bonazzi ci racconta dell’orrore, inutile girarci intorno, ma non lo fa seguendo i registri pulp o ancora più estremi dello splatter, decide di metterci al centro della “Ciambella”, in quel suo buco fetido, e lo fa con grazia. Avrebbe potuto abbandonarsi alle descrizioni cruente, al sangue e a tutte quelle immagini che ci avrebbero fatto accapponare la pelle, avrebbe potuto scegliere di fare come Tarantino (che lo sa fare molto bene, sa mostrare il sangue) invece sceglie la via di Kitano (Sonatine), perché riesce a unire sia il registro crudo ed estremamente violento, sia la poesia dei gesti e della scrittura. Questa è una scelta che ho apprezzato molto, è facile scivolare sul sangue, è facile macchiarsi, sporcarsi e restare imbrattati dall’orrore (è facile fare come in A Serbian Film!), molto più difficile trovare la poesia nell’orrore, comporre suggestioni dal mostruoso. Con una scrittura asciutta e alternata a profonde riflessioni e domande, lo scrittore ci porta dentro il cuore, potremmo dire, di Fran, che appena adolescente si troverà in un mondo e in una famiglia che cerca in tutti i modi di comprendere. Sarà un compito arduo, dove resteranno sempre milioni di domande, domande a cui purtroppo nessuno riuscirà mai a dare risposte, e quelle poche che riceverà non saranno di nessun aiuto. Ci porta nella “Ciambella”, quartiere mondo di una estrema periferia e ci fa scoprire un luogo non luogo diverso, amico nemico in cui il protagonista cercherà prima di vivere sopravvivere, poi di scappare. Interessante la struttura del libro, diviso in quattro parti e vari punti di vista, che non esplicito per non far perdere il gusto della lettura, posso però dirvi che tutta la narrazione regge benissimo, ha un grande ritmo anche nelle pause riflessive, e i capitoli brevi, alcuni dalle sembianze quasi dello stralcio, danno una grande visione d’insieme.

 

    È questo un romanzo, una scrittura, che si fa divorare, che ci affama, che ci porta a voler quasi addentare le pagine. Romanzo che anche per suggestioni e incastri ha delle radici nel genere giallo senza rispettarne assolutamente i cliché, anzi ricorda il genere soprattutto perché siamo portati fino alla fine a cercare di comprendere tutta la vicenda, di capire il chi, il cosa, il perché. 

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       Altro aspetto molto importante è quello di non essere manicheo, non è tutto bianco o nero, buono o cattivo, ci sono nel mondo e nella vita una serie infinita di gradazioni, di sfumature, che non tutti sanno cogliere e che non tutti vogliono comprendere. Questo romanzo, pur rimanendo fermo nell’idea che l’orrore esista e debba essere combattuto, ci mette davanti agli occhi gli esseri umani con tutto il loro carico di sofferenze e difficoltà. Perché è facile odiare e giustificare qualsiasi gesto, anche il più ripugnante davanti all’orrore più atroce, difficile invece cercare di capire le dinamiche che si instaurano in un mondo in cui è precluso qualsiasi pensiero dal mondo esterno e in cui qualsiasi segno in entrata è filtrato attraverso la deformazione. Bella anche l’idea che nonostante le varie difficoltà Fran riesca a cogliere il bello, infatti riesce attraverso i suoi sforzi ad andare oltre, a incontrare la lettura, pur nelle difficoltà di una educazione scolastica impartita a casa dalla madre, ad appassionarsi alla letteratura. Anche i luoghi altrove rappresenteranno per il protagonista l’incontro con il bello, che sia il mare con la sua spiaggia e con l’acqua che si confonde con il cielo, oppure un relitto spiaggiato come una balena rifugio. La bellezza non riuscirà mai a salvare il mondo, ma per il protagonista sarà sicuramente un via d’uscita, non dall’orrore, ma una via che lo porterà sulla strada di quella che potremmo chiamare consapevolezza parziale, una consapevolezza solo teorica a cui manca però la concretezza del reale. In cui il reale sarà sempre troppo per l’adolescente Fran.

    Fran, lo zio Pietro, Stella, il padre, la madre, Alan. Questi sono i personaggi che vivono in questo libro, questa è la famiglia, questa è una parte di quel piccolo grande mondo. Perché il protagonista non sarà solo, o lo è? O lo sarà? Domande, domande, ancora domande. Questo è quello che fa un bel libro, questo è quello che fa la grande letteratura: porre domande. 

 

P.S. Lo so, non vi ho parlato molto della trama, non ho sviscerato l’intreccio, neanche la fabula, vi ho solo restituito sensazioni, riflessioni, paura e orrore, mostri, domande. L’ho fatto solo perché, per me, in questo tipo di romanzi, di letteratura, ogni anticipazione equivarrebbe a fare un torto allo scrittore, al testo, le cose belle vanno lette e questo è uno di quei romanzi che deve essere letto assolutamente.


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